domenica, 08 settembre, 2024
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Convegno di studi: “La scena (in) centrifuga. Dal decentramento al riequilibrio territoriale: storie, geografie e politiche culturali in Piemonte”. -di Franco Acquaviva

"La scena (in) centrifuga" "La scena (in) centrifuga"

Convegno di studi
“La scena (in) centrifuga. Dal decentramento al riequilibrio territoriale: storie, geografie e politiche culturali in Piemonte”.
3 - 4 ottobre, Circolo dei Lettori, Torino
Un’iniziativa ideata e promossa da Fondazione Piemonte dal Vivo, 
con il patrocinio dell’Università di Torino
Comitato scientifico: Livia Cavaglieri, Donatella Orecchia, Armando Petrini
Curatela: Matteo Tamborrino
Visto il 3 ottobre

Il circuito regionale piemontese dello spettacolo dal vivo, nel ventennale della propria nascita, s’interroga sul tema del “riequilibrio territoriale” delle attività di spettacolo in un convegno dal titolo La scena (in) centrifuga, che ha avuto luogo il 3 e 4 ottobre, al Circolo dei Lettori di Torino. L’incontro prevedeva, per l’elaborazione di una serie di focus tematici, la presenza di relatori provenienti da vari università e istituzioni teatrali italiane. La mattina del giorno 3 le relazioni hanno dato conto sia dello stato attuale del processo in corso in Piemonte per quanto riguarda le attività di redistribuzione/riequilibrio delle attività di spettacolo dal vivo, sia, in prospettiva storica, affrontato uno dei temi cardine di quel periodo di rivolgimenti, non solo teatrali ma sociali e politici, che datano a partire dalla metà-fine degli anni ’60 a Torino e non solo: il tema del “decentramento”, quasi contrassegno epocale al pari di altri concetti/manifesto continuamente ribaditi e sviscerati in quel torno d’anni. 
Decentramento voleva dire, per le istituzioni teatrali (i Teatri Stabili), sia spostare dal centro della città in periferia una parte del complesso di attività svolte dalle sale primarie per tentare di avvicinare nuovi pubblici, sia – più da parte degli artisti, in verità non sempre pienamente appoggiati in questo – anche sottoporre a revisione critica pratiche sceniche consolidate proponendo nuovi modi di produzione entro processualità inedite. Tutto ciò in un momento storico in cui forte si avverte la necessità di rispondere a una “domanda di partecipazione”, come si diceva allora, che sale impetuosa dalle nuove compagini sociali in formazione e lotta.
Le strategie variavano: incontrare nuovi pubblici poteva voler dire limitarsi a portare in periferia gli spettacoli degli organismi stabili (fu il noto caso del Piccolo di Milano); provare a infondere nuova vita alle pratiche artistiche poteva significare mettere in discussione il meccanismo della semplice dislocazione di un prodotto per mettere l’accento sui processi di creazione/relazione. 
La dicotomia tra “prodotto” e “processo” (altro contrassegno d’epoca), sarà peraltro negli anni successivi la cerniera intorno alla quale prenderà vita la dialettica e la polemica delle nuove generazioni teatrali nei confronti del sistema emerso dal secondo dopoguerra.
In questo quadro complesso, e foriero di sopravvenienti trasformazioni radicali, si colloca l’esperienza torinese, davvero all’avanguardia per l’epoca in Italia, di Edoardo Fadini e di Giuliano Scabia. Ne affrontano le vicende, in un lodevole tentativo di sintesi dato il poco tempo a disposizione, le due relazioni al centro della mattinata del 3 ottobre: quella di Giuliana Pititu, dedicata a Fadini e quella di Andrea Zardi dedicata a Scabia. 
Aldilà della polemica che all’epoca si innesca tra i due (più un conflitto “di individualità”, come ha modo di dire Zardi nella sua relazione), emerge, almeno a distanza di tanti anni, all’interno di quello “spazio degli scontri” torinese, la sostanziale somiglianza dei due percorsi, i quali ci appaiono oggi più sotto la luce di una diversa accentazione della medesima necessità politica e artistica e di un analogo modo di porsi il problema dei processi di partecipazione in ambito teatrale, che di un vero e proprio disaccordo sui temi di fondo. 
In sostanza Fadini rimproverava a Scabia di porsi, rispetto alle assemblee di operai e studenti appositamente convocate per la discussione sulle azioni da intraprendere, più come un autore in senso tradizionale che come un catalizzatore di dinamiche e processi “in situazione” da tenere vivi in quanto spontanea manifestazione del proletariato delle periferie. Verrebbe da aggiungere, tuttavia, che a leggere la dettagliata cronaca di Scabia contenuta nel volume “Teatro nello spazio degli scontri” (Bulzoni, 1971), emerge costante proprio la preoccupazione del poeta-drammaturgo di mettere in crisi dall’interno la figura dell’autore di stampo tradizionale con un lavoro di consapevole decostruzione. E’ in tutto il suo lavoro di quegli anni che si può vedere Scabia non solo teorizzare ma mettere in pratica questa idea. Polemiche teatrali a parte, il confronto tra questi due grandi figure restituisce ad ogni modo un clima storico dove la partecipazione era rigoglio quotidiano di domande di presenza, dalla quale gli operatori potevano trarre indicazioni utili alla prassi artistica e forse intercettare anche una domanda di senso oltre che di partecipazione. Oggi invece – così Zardi – ci si ritrova nella posizione di dover sollecitare più che rispondere a questo tipo di domanda. 
Questo ci pare un tema centrale (e va riconosciuto alla Fondazione Piemonte dal Vivo, con questo convegno, il merito di aver articolato la riflessione sul tema a più livelli), su cui non solo gli artisti nei territori, ma anche le istituzioni teatrali e culturali in genere saranno chiamate a intervenire con sempre più incisività e creatività nel prossimo futuro.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Lunedì, 16 Ottobre 2023 18:48

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