Quello che da qualche tempo succede a Spoleto è un miracolo della cultura musicale italiana. Il Teatro Sperimentale Belli che da sempre si è distinto per le proposte di teatro lirico d’avanguardia, ha da qualche anno posto l’attenzione non solo con il commissionare un’opera nuova ad un compositore, ma anche ad andare a recuperare quelle opere che nel tempo si sono perdute. Spesso si è trattato di composizioni di grande valore ma come succedeva nell’Italia degli anni ’50, dove vi era un proliferare di commissioni di teatro lirico, spesso questi lavori non andavano oltre la prima rappresentazione. E’ il caso del recupero di un trittico che a Spoleto è diventato un dittico ovvero Procedura Penale su testo di Dino Buzzati con musiche di Luciano Chailly e La Smorfia con il libretto di Riccardo Bacchelli e la musica di Bruno Bettinelli. La ripresa di queste due opere brevi viene dal Teatro Sociale di Como che negli anni cinquanta era uno dei più attivi per quanto riguardava il teatro musicale. La ricerca condotta da Enrico Girardi ha quindi fatto uscire dagli archivi della Ricordi queste due partiture, con un certo coraggio. Infatti non era facile per entrambe le opere la scrittura e soprattutto la tessitura vocale. Quello che è evidente rimane la grande maestria di due compositori che avevano superato gli schemi del tonalismo per provare un proprio linguaggio musicale.
Procedura penale. Foto Niccolò Perini
La proposta di Spoleto che è stata messa in scena al Teatro Caio Melisso, ha avuto la cura registica di Giorgio Bongiovanni con la scenografia di Andrea Stanisci. Ma andiamo alla natura storica di questo recupero di Girardi. Luciano Chailly come ci ricorda il figlio Riccardo, ebbe una importante amicizia con Dino Buzzati il quale lavorò fra i pochi scrittori di allora, a creare libretti di teatro musicale per il compositore milanese. In questo caso, Procedura Penale è una sorta di metafisica realtà dove il gioco si mischia ad una traslata verità. Quello che viene messo in evidenza è come Buzzati sapesse rappresentare un mondo proprio attraverso appunto una forma metafisica di narrazione. E nel caso di questo atto unico, la forma è quella del gioco, del gioco di adulti. Ebbene l’opera è scritta molto bene con un bouquet di personaggi molto interessante. Il taglio è quello ironico, assolutamente ma è evidente che l’ironia di Buzzati è spesso amara e caustica. Tant’è che il punto della società di Buzzati è proprio quello che vediamo in scena. Una serata fra borghesi , un modo per dirsi cose e non avere voglia di andare a fondo. Il tutto inizia con un dubbio amletico della protagonista Contessa Mauritia Delormes sul quale si reggerà tutta l’azione. Il cast dell’anteprima era di quelli che funzionano, ben calati nelle parti. Giorgia Costantino nei panni della Delormes è stata convincente anche e soprattutto perché la scrittura di Chailly non è certo facile. Una sorta di post modale con una tendenza a far muovere la voce nelle gamme gravi ed acute. E la Costantino è stata brava. Così come Paolo Mascari perfetto nel suo ruolo di Dottor Polcevera. Nella norma la presenza degli altri componenti del cast. Per La smorfia l’opera in due parti scritta da Bacchelli con musiche di Bettinelli; il contesto era a dir poco estraniante. Il lavoro nato in piena crisi post moderna, mette in risalto le tendenze della mente a creare sovrastrutture e la critica verso la nascente psicologia, è di quegli anni l’avvento dei freudiani in Italia, è spietata. E’ un’opera assolutamente fuori dagli schemi dove quello che conta per Bacchelli è la dimensione umana. Perfetto nel suo ruolo Andrea Ariano nella parte di Astronio Tridapali e lo stesso dicasi per Eleonora Benetti nel ruolo della nipote Vanda. Anzi costei su tutto il cast è stata certamente quella che ha meglio reso il dramma interiore di Bacchelli. La musica di Bettinelli è sovra le dimensioni, nel senso che il modo di scrivere del compositore è talmente unico che diventa difficile collocarlo. Certo è che la dimensione è novecentista, con echi delle innovazioni compositive di quel periodo. Ma Bettinelli ci mette il proprio, una ideale circolare tonalità che serve solo come pretesto per creare il colore drammatico della vicenda. “Bruno ebbe una chiamata da Bacchelli e questa cosa lo emozionò non poco. Sapeva bene chi fosse ma quando scoprì che si trattava di mettere in musica La Smorfia ci rimase non poco. “ Queste sono le parole di Silvia Bianchera Bettinelli che in un colloquio ha ricordato le origini di questo lavoro. In effetti quello che è evidente è che Bruno Bettinelli, che non aveva ancora molta pratica col teatro lirico, si diresse con tutto se stesso alla realizzazione dell’opera. In maniera non consona alla sua modalità lavorativa. “Bruno non riprese mai La Smorfia e non la considerava una delle sue opere definitive perché dovette scriverla in maniera abbastanza concitata. Quando qualche cosa che scriveva non lo convinceva la lasciava aspettando un proprio tempo”. In effetti La Smorfia al contrario dell’opera di Chailly non godette di altre rappresentazioni. Ed è stato comunque una perdita perché certamente in questo lavoro Bettinelli già definisce quel suo unico modo di scrivere. La delizia è tutta in quella perfetta tessitura quasi bachiana della corrispondenza fra le voci soliste e l’orchestra. La realizzazione di entrambi i lavori è stata diretta con piglio e con professionalità estrema da Marco Angius che è colui che riesce in Italia a proporre i lavori di teatro musicale. La lettura da parte sua di entrambe le opere ha messo in luce un nesso che è quello di progredire in una esperienza liberatoria e di produrre qualche cosa che fosse lontana non poco dai modelli europei correnti. Questo sia in Chailly ma soprattutto in Bettinelli. L’orchestra Calamani che è diventata stanziale al Lirico di Spoleto ha dato una giusta dimensione del suono di entrambi i compositori. A volte qualche incongruenza ed una certa incertezza del violino solista. La regia di Giorgio Bongiovanni riconduce ad una sorta di bianco e nero della scena. L’uso dei movimenti rarefatti, l’idea di pochi elementi scenici e l’essenzialità del fare cantando hanno permesso al regista di rendere i due lavori contemporanei con quella che è l’idea del teatro lirico odierno. Lo stesso dicasi dell’essenzialità delle scenografie di Andrea Stanisci che porta quella sua personale visione tardo romantica di un allestimento moderno. E’ in lui quella vena di bellezza che a servizio della regia permette la sintesi di una idea globale. I costumi della Clelia De Angelis erano ben giusti in entrambi gli allestimenti mentre le luci di Eva Bruno creavano una possibile ombra sulla scena, una zona di mezzo fra il visibile e l’invisibile. Pensiamo seriamente che dopo tanti anni risentire le musiche di due maestri di grande levatura possa essere da pungolo alle nuove leve per comprendere come ancora oggi sia possibile scrivere bene in quella area di eterna bellezza che mai finirà. Grazie a Chailly e a Bettinelli.
Marco Ranaldi