mercoledì, 16 ottobre, 2024
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LETTURA INCROCIATA DI "DON CHISCIOTTE AD ARDERE" DEL TEATRO DELLE ARBE E "IL CAPITALE. UN LIBRO CHE ANCORA NON ABBIAMO LETTO" DI KEPLER -452. - di Nicola Arrigoni

"Don Chisciotte ad ardere", regia Ermanna Montanari e Marco Martinelli. Foto Silvia Lelli. "Don Chisciotte ad ardere", regia Ermanna Montanari e Marco Martinelli. Foto Silvia Lelli.

Cavaliere della mancia e operai con la voglia di cambiare il mondo
Lettura incrociata di Don Chisciotte ad ardere del Teatro delle Albe e Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto di Kepler -452
di Nicola Arrigoni

È una possibilità, un pertugio attraverso cui immaginare un modo altro di essere e fare, di pensare e agire. È la forza di errare in cerca di questa possibilità inattesa che muove il teatro, quello che sa farsi pensiero, quello che non scimmiotta la realtà, ma la interroga, quello che sa fare del qui e ora del rito scenico un orizzonte, una spinta a frequentare il possibile che ci immetta in un altro mondo o modo di essere. È questo che va cercando lo spettatore errante colui che chiede alla convocazione del teatro non conferme, ma interrogativi, di aprire orizzonti e non di confermare coordinate dell’essere in scena e nella vita. A questa forza di frequentare l’inatteso e il possibile rispondono due allestimenti diversi per cifra estetica, ma accomunati dalla medesima erranza: Don Chisciotte ad Ardere del Teatro delle Albe di Marco Martinelli e Il capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto di Kepler-452 di Nicola Borghesi.

Perché avvicinare due lavori all’apparenza che nulla hanno in comune? Forse perché in entrambi i casi ci sono invarianti che li accomunano e un desiderio di fare del teatro quella possibilità che si apre nella realtà determinata e pragmatica del nostro quotidiano. Entrambi i lavori partono da un’opera mondo: Don Chisciotte di Cervantes, l’uno, Il capitale di Karl Marx, l’altro. Entrambi hanno una sorta di urgenza di concretezza e di realtà, entrambi immergono le mani nel contemporaneo, l’uno nel coinvolgimento reale dei cittadini di Ravenna, l’altro scaturendo e sviluppandosi dalla vicenda del licenziamento di massa degli operai della GKN e dell’esperienza dell’occupazione di fabbrica che ne è seguita e che continua. Entrambi in questo coniugare il qui ed ora della quotidianità con la vertigine dell’opera d’ingegno rivolgono lo sguardo oltre, oltre quell’orizzonte del già dato e già deciso che utopisticamente può essere mosso dall’errare del teatro, dalla capacità di procedere senza pre-giudizi lungo un itinerario di cambiamento dello status quo.

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"Don Chisciotte ad ardere", regia Ermanna Montanari e Marco Martinelli. Foto Silvia Lelli.

Spettatori erranti fra cavalieri e naufraghi - Don Chisciotte ad ardere fa tesoro dell’esperienza della messinscena della Commedia dantesca che Marco Martinelli ed Ermanna Montanari hanno realizzato in occasione dei 700 anni della morte di Dante Alighieri, coinvolgendo centinaia di cittadini di Ravenna. Quest’esperienza prosegue con un’altra opera-mondo, il romanzo di Cervantes che Martinelli e Montanari interrogano propongono in tre tappe, partendo da palazzo Malagola, sotto la guida della maga Ermanita e di Marcus che fanno da mentori agli spettatori e li introducono nel mondo del cavalier della Mancia. Ma come sempre in teatro – e in particolar modo per il Teatro delle Arte – ogni testo è un pre-testo che ci aiuta ad entrare nel cuore della nostra contemporaneità, è uno stimolo a leggere da nani sulle spalle dei giganti ciò che ci accade intorno e condiziona le nostre vite. La parte in palazzo Malagola è un viaggio fra le visioni oniriche nella grotta di Montesinos, ma è anche una sosta che noi spettatori erranti facciamo nella locanda, in cui la vicenda esplode, in cui l’errare di Don Chisciotte diventa il nostro, in cui il discorso sulla polvere da sparo offre un affondo per riflettere sulla contemporaneità, sulle guerre attuali, sull’orrore nostro quotidiano, fino alla tentazione del pensiero unico e al rito silenzioso e sanguinario dell’ardere libri. La seconda parte del lavoro – destinato a chiudersi il prossimo anno con la fine dell’impresa – si svolge a palazzo Teodorico ed ha qualcosa di più intimo, svela la finzione, interroga gli attori sul loro ruolo. Il mago Marcus – regista interno – invita gli attori/personaggi a mettere in scena la loro fragilità, le debolezze umane, i piccoli tornaconto, le grandi speranze e le misere ambizioni. È come se Martinelli chiedesse di sostare e di considerare la nostra piccolezza per acquistare la consapevolezza che mentre siamo qui a veder teatro, altrove capitano cose orribili. E le cose orribili – per estensione di senso – sono la testimonianza della bambina senza nome, la violenza con cui quella creatura è stata oggetto e soggetto di barbarie, un canto dolente che arriva dal fondo del lago che può essere anche il fondo del Mediterraneo. Quella bambina – affiancata da un gruppo di adolescenti che cadono e si rialzano che sono corpi distesi sul prato – non è altro che il dramma dei tanti senza nomi che vagano, attraversano deserti e mari in cerca di un mondo diverso, di un’altra possibilità di vita, anche mentre noi stiamo a teatro. Tutto questo accade mentre il fuoco di un grande braciere viene tenuto desto e acceso, un segno, una luce, la necessità di non dimenticare e di illuminare una via possibile da percorrere. Tutto questo in Don Chisciotte ad ardere si fa teatro, si fa coro, un coro in cui il coreuta di volta in volta cambia, in cui il singolo emerge non per vanagloria ma per portare la voce di un io destinato a farsi noi, per indicare una via altra possibile, per destare la nostra coscienza e chiederci di non restare spettatori passivi, ma farci spettatori erranti in cerca di una comune alternativa all’ineluttabile.

Il capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto
Il capitale un libro che ancora non abbiamo letto, un progetto di Kepler-452, drammaturgia e regia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi.

Dalla fabbrica al teatro andata e ritorno

«Una cosa piccola così, ma quanta fatica abbiamo fatto per tenerla in vita come uno spiraglio da cui far passare aria e vento. E se ci accosti l’orecchio, se ci guardi bene dentro, ci sono generazioni e generazioni di operai, i loro scioperi, le loro assemblee, la clandestinità, il ‘68-‘69, lo statuto dei lavoratori, gli anni 70, la Fiata dell’80-81, la storia che abbiamo preservato (…). Ma siamo la testimonianza fisica che quando il Capitale se n’è andato, da quella fabbrica noi siamo diventati un po’ più umani, abbiamo vissuto. In quello spiraglio puoi sentire il suono del tempo che accelera, il bisogno di prepararsi per tempo. Scegliamoci dei buoni compagni di vita e di lotta, e proviamoci a non vivere invano e a non morire soli». È lo spiraglio a cui ci chiede di prestare attenzione Dario, operaio della GKN e rappresentante del collettivo di occupazione della fabbrica da cui piace partire per raccontare Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto di Kepler 452. In scena, insieme a Nicola Borghesi, sono il già citato Dario Salvetti, Tiziana De Biasio, Francesco Iorio, Massimo Cortini, operai e addetta alla pulizia, testimoni reali della storia della GKN, del licenziamento collettivo arrivato per mail il 9 luglio 2021, della decisione di occupare la fabbrica, della volontà di non arrendersi e cercare di immaginare una soluzione possibile, una riconversione produttiva che è all’orizzonte ma non voluta dalla finanziaria che ha acquistato il gruppo.

Il Capitale Kepler 452 foto di Luca Del Pia1
Il capitale un libro che ancora non abbiamo letto, un progetto di Kepler-452, drammaturgia e regia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi. Foto Luca Del Pia

La compagnia Kepler 542 entra in fabbrica, Nicola Borgesi ed Enrico Baraldi condividono nell’autunno ‘21 l’esperienza dell’occupazione, intervistano gli operai, vivono dall’interno quella battaglia del lavoro e dei diritti, dell’umano e del capitale. Questa esperienza è il nucleo potente e fondante lo spettacolo, uno spettacolo che dice e narra, che vive dell’emozione di chi ha combattuto e ancora combatte per il suo posto di lavoro. Non c’è retorica ne Il Capitale, c’è la narrazione di una lotta umana, troppo umana che si incrocia nel tono della voce, negli sguardi dei testimoni reali prestati alla finzione del palco. Tutto questo vive di una strana ed emozionante alchimia che dà calore a un teatro che documenta e racconta la realtà, ma al tempo stesso la trasfigura, la rende universale e ci invita a guardare in quel pertugio e immaginare un’alternativa possibile. Fanno tenerezza quei teatranti guardati a vista dagli operai, fa tenerezza la retorica intellettuale che i due artisti si portano dietro e lo ‘scontro-incontro’ con la realtà del lavoro sottratto, del sentir venir meno il senso di un’esistenza che vive di lavoro, ma non vive per il lavoro. «Come state? È cominciato tutto con questa domanda», inizia così Nicola Borghesi non vergognandosi di mettere a fuoco il disagio dello stare lì, nel confrontarsi col corpo ferito della fabbrica, al tempo stesso consapevole di essere corpo estraneo. Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto ha la forza di equilibrare il racconto in presa diretta di chi in GKN ha lavorato e vissuto con la distanza di chi quella realtà ha deciso di raccontare e vivere per comunicarla, per offrire una riflessione, per fare lo spettacolo. Ecco queste due anime trovano ne Il Capitale una loro armonica coesistenza che impediscono lo scivolare nella retorica o nella distanza anaffettiva della mera cronaca. Nicola Borghesi ed Enrico Baraldi giocano a carte scoperte, mettono in scena i limiti della testimonianza da fuori e la prossimità emotiva di chi la storia la vive sulla sua pelle. Un bell’incontro che fa bene ad entrambe le narrazioni. Ed allora quel pertugio che sul finale della messinscena Dario descrive è un segnale forte, è uno spiraglio di resistenza possibile, è la volontà di non arrendersi al licenziamento, alla morte della fabbrica la cui condanna è stata pronunciata dal sistema capitalistico, con la stessa ferocia con cui Crono mangia i suoi figli. Un alternativa è possibile, un piccolo pertugio c’è, bisogna crederci per cambiare.

Don Chisciotte ad ardere, opera in fieri 2024, ideazione, drammaturgia e regia Ermanna Montanari e Marco Martinelli, in scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Alessandro Argnani, Roberto Magnani, Laura Redaelli e le cittadine e i cittadini della Chiamata Pubblica, musiche Leda, commissione di Ravenna Festival, electronics e sound design Marco Olivieri, scenografia Ludovica Diomedi, Elisa Gelmi, Matilde Grossi, disegno dal vivo Stefano Ricci, costumi Federica Famà, Flavia Ruggeri, disegno luci Luca Pagliano, direzione tecnica Luca Pagliano, Alessandro Pippo Bonoli e Fagio, coproduzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, Ravenna Festival e Teatro Alighieri, in collaborazione con Direzione Regionale Musei Emilia-Romagna e Opera di Religione della Diocesi di Ravenna, 7 luglio 2024, Ravenna.

Il capitale un libro che ancora non abbiamo letto, un progetto di Kepler-452, drammaturgia e regia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi con Nicola Borghesi, e Tiziana De Biasio, Francesco Iorio, Dario Salvetti, Massimo Cortini / Mario Berardo Iacobelli / Alessandro Tapinassi - Collettivo di fabbrica lavoratori ex-GKN, luci e spazio scenico Vincent Longuemare, sound design Alberto Bebo Guidetti, video e documentazione Chiara Caliò, consulenza tecnico-scientifica su “Il Capitale” di Karl Marx Giovanni Zanotti, assistente alla regia Roberta Gabriele produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Comunale di Piacenza, 28 settembre 2024, Festival L’altra scena. 

 

Ultima modifica il Lunedì, 14 Ottobre 2024 22:28

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