Il futuro a Santarcangelo è fantastico fra tabù e Duran Duran
Cronaca dal festival post-pandemico di Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande
Futuro fantastico è la scritta che campeggia nell’area verde di Nellospazio – ovvero il parco ex imbosco delle passate edizioni -, parco in cui Santarcangelo Festival di Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande ha trovato la formula distanziata ma empatica per dire no al diktat del Coronavirus e celebrare il cinquantesimo di un festival che nel suo dna ha la voglia di guardare al futuro. Ed allora Futuro fantastico non è solo il ‘titolo’ dell’edizione del cinquantesimo, ma è un augurio che va oltre il teatro, ma che dal teatro come detonatore di relazioni parte. Ed eccola qui la parola magica: relazione, ovvero creare legami attraverso l’azione. Così le mascherine, il distanziamento, le sedute separate e contingentate sono un segno di una pandemia non risolta, ma ciò non ha impedito di re-inventarsi un festival che nei cinque giorni di luglio vuole essere l’avvio di un percorso dedicato a estendersi su tutto l’anno. È questa una tendenza che ora appare una necessità che chiama in causa la possibilità di «giocare con diversi gradi di prossimità tra pubblico e artisti, restituendo i corpi a spazi diversi (e inattesi) della polis, ma anche, negli incontri live/digitale, a quegli spazi di vicinanza online che hanno costituito l’esperienza di contatto nei giorni più neri del vissuto pandemico», scrive Giovanni Boccia Artieri, presidente dell’Associazione Santarcangelo del Teatri.
E proprio da Santarcangelo Festival con i suoi cinquant’anni di storia dedicata al teatro che sarà è parso logico ricominciare e immaginare ma anche partecipare il teatro post-Covid 19. Ciò che è andato in scena a Santarcangelo è un pensiero fatto di necessità relazionali, di fame di contatto, di sguardi che si incrociano, linguaggi che si mescolano, culture che s’intrecciano, esistenze che si sostengono l’un l’altra in un segno di fiducia in un Futuro Fantastico. E prima di tentare di leggere tutto ciò sotto la chiave del contatto/relazione è con una certa stranezza che si guarda l’immagine distopica voluta e mantenuta dai curatori della kermesse ben prima dello scoppio della pandemia. Una grande piovra metallica, l’invasione di extraterrestri e ultracorpi campeggia su piazza Ganganelli, una minaccia colorata, fumettistica che non può oggi che richiamarci l’invasione del Covid-19, un segno premonitore, una preveggenza che solo l’arte può regalarsi (forse). Ma, ancora una volta, a campeggiare sull’invasione della piovra extraterrestre è quel Futuro Fantastico che oggi assume un significato particolare, futuro che si è compiuto nel qui ed ora di artisti e spettatori che non hanno voluto perdersi la possibilità di essere presenti a se stessi e alle visioni dell’arte.
Così piazza Ganganelli invasa dagli extraterrestri è la medesima piazza in cui Virgilio Sieni ha proposto le sue Quattro lezioni sul corpo politico e la cura della distanza. Il coreografo fiorentino prendendo in considerazione alcuni capolavori dell’arte come il Battesimo di Cristo di Piero Della Francesca, la Cena in Emmaus di Caravaggio, Lezione di canto del Giorgione insieme a Concerto di Tiziano, l’Annunciata di Palermo e Cristo in pietà di Antonello da Messina imbastisce quattro lezioni davanti a un gruppo di danzatori/volontari adeguatamente distanziati. La lezione di mezzora mostra come un particolare, uno sguardo, la posizione di una mano nelle opere prese in esame da Sieni possa diventare un’occasione per costruire un movimento che va in cerca del suo compiersi nelle leggi e dinamiche del corpo. Virgilio Sieni usa l’arte figurativa come stimolo coreutico, ne fa il punto di partenza e di pensiero per costruire insieme ai suoi danzatori/volontari una danza che si scioglie in una coralità radiosa, osservata dal pubblico disposto sui quattro lati dello spazio scenico. L’ampiezza della piazza fa da contraltare all’intimità del negozio Secsi Shop (tappezzato di vetrofanie con noci di cocco sezionate) in cui la compagnia Quotidiana.com ha proposto Tabù. Ho fatto colazione con il latte alle ginocchia. In mezzo il busto di Aristotele, ai suoi lati Roberto Scappin e Paola Vannoni che costruiscono un dialogo su ciò che è tabù: guardare un video porno, masturbarsi. Ma sono solo questi i punti di partenza di un ribalzo di idee, battute, freddure filosofiche che Scappin e Vannoni si rimpallano con ironia, con piccoli gesti di scioglimento del corpo, in una danza arlecchinesca che strizza l’occhio a un disvelamento su «tutto ciò che è oggetto di un divieto senza fondamento oggettivo o ciò di cui si preferisce non parlare». Ecco dietro le vetrine di quel secsi shop molto romagnolo si invita a parlare e pensare l’impensabile: tutto ciò con i Quotidiana.com accade con grande leggerezza e ironia. Tabù – visto a Santarcangelo – è un lavoro la cui completezza sarà visibile nei prossimi giorni a Kilowatt a Sansepolcro. Nelle sue premesse si tratta di un’operazione drammaturgia intensa e interessante che rimane a lungo in mente per la capacità di fornire non risposte ma proporre interrogativi.
Se i tabù infranti rischiano di mettere in crisi le relazioni, se i tabù nel loro dire ciò che si può o non si può fare regolano inevitabilmente le relazioni, con Le mappe del cuore di Lea Melandri la compagnia Ateliersi ha proposto un viaggio sentimentale all’interno delle lettere di chi teenagers nei primissimi anni Ottanta scriveva alla rubrica Inquietudini della rivista «Ragazza In». La rivista era un mix di cultura alta e pop, vi si poteva imbattere nel romanzo Diavolo in corpo pubblicato a puntate, piuttosto che nei poster della band pop per eccellenza i Duran Duran. Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi hanno lavorato sulle lettere che le ragazze di allora – ma anche ragazzi – scrivevano a Lea Melandri, raccontando le loro incertezze amorose, le paure relazionali, il tutto condito con inni alla bellezza e bravura dei Duran Duran. A fare da sottofondo live alle missive lette dai due attori il sound della canzoni dei Duran Duran e non solo, eseguite da Francesca Pizzo che con look primi anni Ottanta, con tanto di short e spalline esagerate, sembra un po’ Mia Martini a Sanremo. L’insieme del lavoro punta sul recupero della memoria e del racconto di un decennio di trasformazioni, in cui le sirene del consumismo e del benessere non mettevano a tacere le inquietudini di una gioventù che cercava la propria libertà, il proprio spazio nel mondo, senza per forza voler fare la rivoluzione. Ed è in quelle lettere che prende corpo una riflessione sull’assolutezza della relazione, sull’individuo (femminile) che nel chiuso della sua stanza cerca uno suo posto nel mondo, magari affidandosi ai sogni suggeriti dalle melodie pop delle band del momento dai Duran Duran agli Spandau Ballet…. Belli e impossibili. E fa effetto la complessità della scrittura poetica di Lea Melandri che come un oracolo vaticinante cercava di dare prospettiva alle sue corrispondenti… Corrispondenti che Menni e Sismondi stanno cercando e che ospitano ad ogni replica, come è accaduto a Santarcangelo con Vittoria, una bella signora bionda dal look aggressivo che si è emozionata a sentire leggere la sua lettera scritta oltre trent’anni fa… E allora a Santarcangelo accade anche questo che le rubriche di «Ragazza In» possano farsi oggetto di una riflessione sulla fame di relazione, sulle incertezze di quegli adolescenti di inizio anni Ottanta che nel loro raccontarsi non sono poi tanto diversi da quelli di oggi. Guardando al passato recente Santarcangelo Festival 2050 va in cerca di un possibile Futuro fantastico.
Nicola Arrigoni