Messa da Requiem
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Myung-Whun Chung
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SOPRANO Krassimira Stoyanova
MEZZOSOPRANO Daniela Barcellona
TENORE Saimir Pirgu
BASSO Michele Pertusi
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Roma Opera Aperta Circo Massimo 2021
Narrate, uomini, la vostra storia: fra i tanti ritratti riuniti in questo libro, Savinio ne dedicò uno a Giuseppe Verdi, che chiamò uomo quercia. Ascoltando la Messa da Requiem, magistralmente diretta da Myung-Whun Chung, non si può che condividere.
La musica di Verdi, per Savinio, “non è staccata dal mondo come le altre e sterile, ma plasmata e riplasmata con forti e grosse mani di rurale, impastata con gli elementi stessi della terra: il bene e il male della terra, il suo amore e il suo odio, la sua dolcezza e la sua crudeltà, la sua stupidità, la sua indifferenza, la sua pazzia”. Parole che descrivono perfettamente il Requiem verdiano. Non occorre neppure un aggettivo di più.
Da qui si comprende anche la ragione per la quale Savinio definì Verdi uomo quercia. Ad un primo ascolto, la sua musica non sembra dotata di leggerezza stendhaliana, cifra caratteristica di Rossini. Tutto pare non acquisire mai velocità. La musica di Verdi indugia, riflette, approfondisce. Quella di Rossini, al contrario, saltella e spicca il volo.
Ma non sempre le prime impressioni restituiscono l’oggettività dell’esperienza. Effettivamente Verdi è musicista che riflette e approfondisce, ma senza rendere asfittici i significati. La sua è una forma di leggerezza dissimulata in pesantezza, perché nulla di ciò viene espresso in note diviene pietra. Al contrario, ciò che Verdi trascrive sul pentagramma diviene, per magia, lieve e imprendibile.
In ciò risiede la qualità del suo Requiem: all’ascolto, la maestosità della metafisica, del culto religioso, delle metafore attraverso le quali l’Occidente ha raffigurato Dio assieme al suo immaginario: tutto questo c’è, ma non è mai preponderante. L’udito non è affaticato, gli animi mai sovrastati da tanta potenza. Si ascolta il Requiem alla stessa maniera con la quale si assiste all’eruzione di un vulcano: consapevoli della nostra impotenza; e, proprio per questo, affascinati da cotanto spettacolo. È ciò che, comunemente, viene chiamato sublime.
Myung-Whun Chung nella sua interpretazione del Requiem verdiano in scena al Circo Massimo, ha adottato una pulizia, una essenzialità, una misura rare. Gran parte dei direttori, soprattutto nel Dies irae, sbracciano e si agitano quasi a voler competere in spettacolarità con la musica. Myung-Whun Chung, invece, accenna, indica, suggerisce all’orchestra e al coro come dar vita a quelle note. Ne è risultato un Requiem greco, perfetto, senza eccessi. Eppure maestoso e passionale al contempo.
Il coro, magistralmente diretto da Roberto Gabbiani, ha ricreato un’atmosfera metafisica che rassomiglia, per colori ed intensità, all’oltretomba dantesco. Straordinari gli interpreti solisti. In particolare, il tenore Saimir Pirgu e il mezzosoprano Daniela Barcellona.
Disse Savinio: “Gli uomini più alti di mente, più straordinari di pensiero… si fermano stupiti e affascinati dalla pazzia dell’Universo: dalla pazzia di Giuseppe Verdi”. È ciò che si pensa dopo aver assistito al Requiem diretto da Myung-Whun Chung.
Pierluigi Pietricola