LA BOTTEGA DEL CAFFE’
di Carlo Goldoni
adattamento e regia Maurizio Panici
con Marco Barbiero, Luca Liviero, Francesca Scomparin, Denis Dalla Palma, Tobia Rizzato,
Michela Dellai, Fabrizio Bernar, Riccardo Cavallin, Alessandra Signori, Nereo Scanagatta
realizzazione scena
Costumi Rosanna Palermo e Lidia Bordignon
una produzione Argot - Teatris
rassegna Operaestate Festival Veneto
Marostica (Vicenza), Scalinata dei Carmini, 7 agosto 2021
Le tematiche care a Goldoni hanno sempre riguardato le meschinità dei potenti (e non), la miseria e la poca nobiltà dell’individuo, da mettere in risalto, i vizi e i costumi di signori e signorotti. Questi si concentrano, va da sé anche ne “La bottega del caffè”, testo scritto nel 1750, ora portato in scena da Maurizio Panici (adattamento e regia) in una produzione Argot – Teatris, per la rassegna estiva Operaestate Festival Veneto e che va contestualizzato in un progetto teatrale di coinvolgimento comunitario. Intrighi e sotterfugi, maldicenze e ottusità, ecco il mondo che il grande commediografo veneziano narra,e che trova in questa commedia, ambientata negli anni Sessanta uno dei suoi fulcri. Un campiello, qualche bottega, e un via vai di personaggi dalla dubbia integrità morale, doppia o tripla dove un Don Marzio contemporaneo del Novecento tutto indaga e dirige, o almeno tenta. Prestiti, pettegolezzi, disquisizioni su questo o quello, su chi entra dalla porta di dietro da Lisaura, la ballerina, o nella locanda a fianco del caffè, in un continuo flusso e riflusso. La messa in scena di Maurizio Panici è classica, ed è pensata come detto per un teatro di comunità progettuale dove l’importanza è ampliare e far arrivare a quante più persone possibile il senso del far teatro, soprattutto nel dopo-pandemia. Uno spettacolo, questo, che è stata pensato per il festival Operaestate, importante rassegna veneta di teatro, danza, musica. La venezianità di fondo non si perde, è un bel vedere ad esempio, quella scenografia curata nei dettagli, così voluta nelle sfumature, che racconta già molto. La vicenda è nota, in mezzo a tanti personaggi spicca un gran giocatore di bisca sempre alla ricerca di soldi in prestito, ri-cercato dalla moglie, entrambi messi in confronto con altri sguaiati personaggi che gli attori dell’associazione Teatris incarnano, tutti orchestrati in qualche modo da un nobile napoletano, Don Marzio. Che a dire il vero in questo caso si amalgama agli altri, divenendo parte della storia e non primeggiando, piuttosto lasciando spazio all’oste Ridolfo, vero crocevia degli accadimenti (un presente Riccardo Cavallin che parla in dialetto, un adattamento dal testo). Tra mogli tradite, ballerine che offrono i loro benefici, ficcanasi, biscazzieri e altro ancora la vicenda assume quello che ci si aspetta, e ben si conosce, ovvero la falsità e una certa morale messe alla berlina (il teatro di Carlo Goldoni certo non è sconosciuto, tantomeno in Veneto dove viene continuamente e anche troppo rappresentato). Gli intrecci godibili e qualche personaggio di cartone animato conciato, come l’Eugenio del distinto Denis Dalla Palma (belli i costumi) passano ora in primo piano ora dietro ad altrettanti omonimi, basandosi sul grottesco e ironico testo goldoniano, un altro dei capolavori del commediografo che, sebbene non unico tra gli autori veneziani, è riuscito nei secoli a far valere la propria arte e la propria letteratura. Dunque vizi e virtù (poche per la verità) messe in mostra, raccontate con dovizie di particolari sui tavolini di una casa del caffè, che non manca di avere accanto per non farsi mancar nulla una bisca, una locanda, un’ambigua abitazione (quella con l’ingresso da dietro, appunto), così da poter dar adito a qualunque pettegolezzo. Detto della regia, sempre efficace, di Maurizio Panici, e di qualche interpretazione sincera e passionale, come quelle di Luca Liviero (Pandolfo) e Michela Dellai (Vittoria), nonché Francesca Scomparin che fa Placida senza caricare né caricaturare, la commedia per i suoi canoni regge bene, il pubblico si diverte, mentre qualche altro interprete gigioneggia davvero troppo. Anche questo, spesso, è il teatro goldoniano.
Francesco Bettin