La maggiore complessità è data dall'assenza di risposte: a tutti questi temi non viene offerta alcuna soluzione, crolla ogni cosa, il teatro intero sprofonda. E rimane una sola domanda: di chi è la colpa? Dei tempi? Degli attori? Degli spettatori? Di Shakespeare? Ognuno può e deve darsi la risposta che preferisce, il finale è, infatti, tematicamente aperto, proprio per lasciare al pubblico il compito di domandarsi e rispondersi. È interessante notare come i personaggi non entrino davvero in comunicazione, ma al contrario si scambino parole senza davvero parlarsi. Minetti stesso, in attesa del direttore di teatro che gli permetterà di tornare in scena dopo trent'anni di esilio, resta imprigionato in questa anonima hall d'albergo, e si racconta, come un vecchio pazzo, ripetendo sempre le stesse cose, cambiando l'ordine delle affermazioni, aggiungendone di nuove, ma girando sempre intorno al proprio fallimento.
Atto unico, ma non si disperi: l'atmosfera onirica della commedia fa si che il tempo trascorra in fretta. Consigliato per chi ama il metateatro.