Direzione artistica, testi e regia: Riccardo Buscarini
Interpreti: Riccardo Buscarini, Sabrina Fontanella, Vincenzo Verdesca
Suono, dj set e allestimento scenico: Davide Giacobbi / Santafabbrica
Musiche di: Nino Rota, Rosemary Clooney e altri
Luci e proiezioni: Alessandro Gelmini
Costumi e trucco: Vincenzo Verdesca
Produzione "Teatro Gioco Vita, Riccardo Buscarini"
Nell'ambito del cartellone TeatroDanza della Stagione di Prosa
"Tre per Te" del Teatro Municipale di Piacenza
Rassegna di "Teatro Gioco Vita" direzione artistica Diego Maj
Al Teatro Gioia di Piacenza, il 20 e 21 aprile 2018
Entusiasmo, energia, ritmo e mille sfumature di colore per lo show trasformato in festa "Io vorrei che questo ballo non finisse mai". Una sensazione visiva in cui le innumerevoli declinazioni del ballo si sono affrescate di molteplici gradazioni, toni, intensità in un abbraccio "gioioso". La nuova creazione "Io vorrei che questo ballo non finisse mai" nasce come un racconto in danza, uno "spazio" di sperimentazione supportato da un linguaggio moderno, fresco e fruibile, grazie alla poliedrica "vena" di Riccardo Buscarini (danzatore e coreografo piacentino il quale si divide tra Italia, Spagna e Regno Unito, sicuramente una delle figure più interessanti della danza contemporanea, reduce dalla doppia nomination alla "Golden Mask" presso il Bolshoi di Mosca e già vincitore del prestigioso "The Place Prize 2013") nell'arricchire le dinamiche, sottolineandole da indimenticabili capolavori della cinematografia, firmati da Maestri del calibro di Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Federico Fellini, Dino Risi: colonne ottiche di italica memoria, un omaggio coreutico al cinema degli anni cinquanta e sessanta. L'ordine e le trascrizioni dei passi di danza, a cura dello stesso Buscarini, hanno rappresentato una scelta stilistica e narrativa di forte "presa" in cui lo stesso coreografo, coadiuvato da altri due carismatici performer, ha racchiuso il racconto arricchendolo di forme e linee simili ad una sinfonia: armoniosa e ben orchestrata nel coinvolgere gli astanti in un gioco di rimandi, citazioni e identificazione. Agli occhi degli spettatori, il succedersi delle scene è apparso analogo a quello del montaggio cinematografico: "l'uso coreografico delle inquadrature" ha permesso di utilizzare una classificazione in cui il corpo si muove libero, per meglio impersonare passi e movenze, indirizzato dagli stessi artisti in scena. L'allestimento, simile a una vecchia balera tra sacro e profano, una bellezza astratta, naif e a tratti "vintage" dal sapore marcatamente sensuale è stato caratterizzato da uno stato di persistente giocondità e stupore nel sofisticato lavoro di Buscarini. L'intrattenimento ha avuto il pregio e l'intuizione di sottolineare la plasticità figurativa della "danza libera" che si rivolge solo in apparenza alla "dimensione teatrale" ma che svolge un ruolo educativo di recupero tra gesto e sonorità e tra gesto e azione, il tutto fortemente animato dall'arte compositiva in accordo con la musica dove primeggia l'eclettismo e la travolgente energia dei danzatori Sabrina Fontanella e Riccardo Buscarini. La presenza di Vincenzo Verdesca ammalia e accompagna, mentre la sua voce crea l'incanto avvolgendo gli spettatori di ogni età, soprattutto nel brano di chiusura quando si raggiungono intense profondità e "poetiche malinconie". Buscarini ha saputo tessere un canto rituale del solstizio d'estate con una ricerca che si è avvalsa di documenti storico-cinematografici, osservazioni dirette, e video sonori originali; disegnando così una geometria viva ed esuberante. Una serata festaiola in un luogo sacro (l'edificio che un tempo fu chiesa intitolata al Sacro Cuore e sede dell'Ordine dei Gesuiti insediatisi nella seconda metà dell'Ottocento, risale all'anno Mille), godibile a tal punto che l'insieme dei balli proposti, hanno permesso al plaudente pubblico una "limpida lettura" del racconto per mezzo della propria dimensione corporea donando stati d'animo evocativi in cui la danza si sostituisce totalmente alla parola. Una lontana melodia di Sergio Endrigo cantava "...Vecchia balera di periferia. Dove ho passato la mia gioventù. Là ho incontrato Maria. Il mio primo sogno d'amore" mentre un libro di qualche anno fa sintetizzava il tipo d'atmosfera respirata al Teatro Gioia di Piacenza "...si impara molto in balera; si impara a conoscere se stessi e il proprio genere (i ruoli sessuali e relativi comportamenti sono tutti lì, agiti e studiati al ritmo del mambo, rock and roll, tango e cha cha cha); si impara a fidarsi e a diffidare; ci si abitua a osservare e a essere osservati; si apprende a osare e a ritirarsi al momento giusto". Buscarini (veloce e rapidissimo nel rapporto con il pubblico) trasforma l'esperienza tipica della balera italiana in un passatempo affascinante, metafora di rapporti interpersonali. La pista ha accolto vari tipi di umanità, sottolineando come l'autentico scopo principale non sia ballare ma "allargare la rete degli incontri". Divertente il comportamento, a volte imbarazzato del pubblico-interprete nell'approccio al "galateo" imposto ed insegnato "passo dopo passo, giro giro giro" e dal momentaneo rapporto della coppia che si forma, che appare a chi non ha frequentato abitualmente questi locali, piena di tenera sincerità. Lo spettacolo di Riccardo B. si rivolge ad un pubblico variegato, risulta serio e leggero nello stesso tempo (come del resto dovrebbe essere ogni buon coreografo) e soprattutto fa sorgere una grande curiosità nello sperimentare personalmente l'avvincente passione del ballo. Il connubio cinema-balera così intriso di ricordi, profumi, immagini trasognate e momenti indimenticabili ha aperto all'estate, alla solarità... uno di quegli eventi in cui puoi sentirti libero e in vacanza, anche se sei rimasto in città a pochi passi da casa. Tanti allegri sconosciuti in pedana (ma anche presenze note come il danzatore del Royal Ballet di Londra Giacomo Rovero e la Signora Giuseppina Campolonghi del consiglio direttivo della Fondazione Teatro Municipale di Piacenza e rappresentante della Fondazione di Piacenza e Vigevano e già fondatrice, direttrice e docente dell'Accademia di Danza Domenichino da Piacenza), mentre il cinematografo racconta storie e batticuori. Un modo straordinario di abbracciare qualcuno per imparare la giusta distanza, per non esibire il corpo ma bensì per farlo dialogare con quello di un altro, con il desiderio crescente di sentirsi pienamente adatti. "Io vorrei che questo ballo non finisse mai" ha insegnato cosa voglia dire l'allegria, un sentimento più sincero della felicità perché accessibile e immediato. Durante il valzer finale le coppie sono partite alla conquista del loro metro quadrato, due passi a destra e due a sinistra, ed è stata subito "magia" nel condurre lo spettatore mediante i diversi momenti che costituiscono lo spettacolo, dando vita ad atmosfere fumose e retrò di una provincia che forse non esiste più! Una ricostruzione filologica del fenomeno del cinematografo e della balera, in cui Buscarini punta anche sull'irrefrenabile cambiamento del costume, quella percezione collettiva della mancanza che ormai si è perduta nel modo di sentire comune: "quella vecchia maniera di vivere", come puro sogno tanto quanto come transfert emotivo. Il passato non appare mai come mondo autonomo da certificare ma è costantemente visto in relazione all'ora dove è percepito, come radice interiore d'intimità cui tendere con lo sforzo della memoria. Ne "Io vorrei che questo ballo non fisse mai" è viva questa testimonianza della presenza nell'assenza, del "vecchio" in un "nuovo". E il cinema e la balera, con le loro storie, vengono rivendicati da Buscarini al di fuori di un unico fenomeno di costume con la consapevolezza che esso sia ancora vitale, lasciando spazio ed immaginazione (nel dopo spettacolo) ad un ballo infinito con il dj set di Davide Giacobbi... Un prezioso, genuino documento di cultura! A margine dell'evento l'amico Riccardo Buscarini ha voluto rilasciarmi un'esclusiva dichiarazione: "Con questo lavoro corono il sogno di connettere l'idea di 'festa' e l'idea di 'spettacolo', le due cose che mi piace più fare nella vita e il cinema anche, ciò che mi piace più guardare. Con "Io vorrei che questo ballo non finisse mai" cerco un medium per me nuovo, la coesistenza di linguaggi diversi e il coinvolgimento del pubblico, con un significato particolare: l'immedesimazione in un ricordo, in un tempo che non è più. Un ballo passato che diventa presente... l'idea di Balera come spazio parassitario che si manifesta in spazi non preparati per quello e l'immedesimazione nel Cinema come eternizzazione del sentimento: personaggi sempre giovani, belli, felici".
Michele Olivieri