Balletto in tre atti
Coreografia di Kenneth MacMillan
Supervisione coreografica di Julie Lincoln e Yuri Uchiumi
Ripresa da Laura Contardi e Massimo Murru
Musica di Jules Massenet
Arrangiamento e orchestrazione di Martin Yates
Scene e costumi: Nicholas Georgiadis
Con: Svetlana Zakharova, Roberto Bolle, Nicoletta Manni,
Timofej Andrijashenko, Emanuela Montanari, Claudio Coviello,
Virna Toppi, Marco Agostino
e il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Frédéric Olivieri
Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore: Felix Korobov
Produzione Teatro alla Scala
MILANO, Teatro alla Scala, dal 17 ottobre al 2 novembre 2018
Il fitto tessuto narrativo dell'Histoire de Manon alla Scala
Mi parve così carina che io, che non avevo mai pensato alla differenza dei sessi, né forse avevo mai guardato una ragazza con un pò di attenzione, io, dico, di cui tutti ammiravano la saggezza e il ritegno, mi trovai di colpo acceso d'amore fino all'esaltazione.
I tratti che descrivono l'incontro del Cavaliere Des Grieux con Madamigella Manon Lescaut svelano, nelle prime battute dell'opera firmata dall'Abbé Prevost, l'affondo nei rilievi etici che innervano l'intera trama della storia settecentesca. Alla vita "saggia e morigerata" del protagonista seguono le pennellature del coup de foudre capace di ingenerare l'esaltazione d'amore, preludio dello scompaginamento esistenziale e del dilemma morale. Un ripensamento d'esistenza, dunque, così radicale da sovvertire il vissuto squisitamente razionale del giovane studente di filosofia che, insieme alla protagonista, condivide la trama di un fitto tessuto narrativo. Con questo ampio ed articolato quadro drammaturgico si apre, altresì, la vicenda narrata da Kenneth MacMillan nella sua versione sulle punte del capolavoro di Prévost: quadro coreutico di prim'ordine che seguita, dopo quarantaquattro anni dalla prima, a manifestare spaccati narrativi sull'umano. Campiture coreiche, quelle dell'Histoire de Manon, tornate ad interessare la platea tersicorea del Piermarini in occasione dell'ultimo titolo della stagione di balletto.
Per la settima volta i panni del nobile, distinto e fine cavaliere Des Grieux riprendono vita alla Scala con l'acclamatissima étoile Roberto Bolle. La sua è la manifestazione dell'avvaloramento di un itinerario interpretativo consolidato, corroborato e pregno di quella maturità capace di irradiare sul personaggio l'allure e la tempra peculiare della grande stella. Nel suo cavaliere non è arduo scorgere la modulazione di un registro comunicativo ricco, articolato e inscritto nella cornice della varietà espressiva: al suo Des Grieux non manca acutezza, classe, tormento, sacrificio, miseria. Rilievi, questi, che nel vocabolario peculiare del coreografo scozzese guadagnano spazio preponderante, com'è noto, nei penetranti pas de deux qui condivisi con Svetlana Zakharova. Sul lievissimo leitmotiv d'esordio Manon rivive con l'irreale morbidezza che le è propria per guadagnare, nel secondo quadro del primo atto, piena disinvoltura e condiviso impeto. La loro è un'armonia di reiterati cambrés, pirouettes e afflati che lambiscono, nell'ultimo atto, il dono di sé nella fine miserevole: estremo esito di un conflitto passionale, morale, esistenziale mai scevro dall'agognata condivisione d'amore.
Per la quarta rappresentazione il ruolo di colei che "ama la vita e non sa resistere al piacere che essa le offre" è affidato, invece, a Nicoletta Manni. Giunta alla sua seconda Manon scaligera, in lei ravvisiamo lievità e naturalezza adolescenziale. Tratti, questi, che abilmente cedono il posto ad un itinerario di lene sviluppo e maturazione nel primo pas de deux cesellato, com'è noto, sulle note della vellutata Elegia tratta da Les Erinnyes - Atto II, n. 8 (Invocazione di Elettra) - e scevro da rilevanti imprecisioni. Riemerge, nel secondo atto, la leggerezza della giovinezza nello sguardo di Manon in dialogo con il piglio lacerato del suo Des Grieux, qui Timofej Andrijashenko in debutto. Il primo ballerino concede al suo personaggio l'ineludibile e dinamico aplomb con particolare riguardo alla variazione del secondo atto che precede il gioco di carte. Il dialogo, il racconto, la disperazione e la miseria dell'umano ravvisabili nel pas de deux conclusivo si coniugano con la disinvoltura tecnica dei due giovani interpreti incardinata in una modulazione interpretativa in fieri.
Da segnalare, nel ruolo di Lescaut, l'eleganza di Nicola Del Freo - danzatore dal tratto raffinato - e la vigorosa verve di Christian Fagetti, in debutto nel ruolo. Al loro fianco, rispettivamente, Martina Arduino - anch'essa in debutto - ed Antonella Albano. Solida la performance di Mick Zeni nei panni del Carceriere.
Il Maestro Felix Korobov, affrancato dallo scivolamento in mielosi smussamenti, dirige con vellutato agio il compiuto collage musicale di Massenet.
Con questo amatissimo titolo di MacMillan si conclude, dunque, la stagione scaligera dedicata alla danza che seguita a palesare il lodevole intento di offrire occasioni di ripensamento sull'umana bizzarria rispolverando cardini ineludibili della tradizione coreica con particolare riguardo ai capitoli maggiori del balletto narrativo.
Vito Lentini