di Masako Matsushita
ideato e coreografato da Masako Matsushita
in collaborazione con Mugen Yahiro (taiko artist)
sound designer Federico Moschetti
artista visivo Valerio Veneruso
scenografia Francesco Landrini
costumi Gloria Bellardi, M.Matsushita, M.Yahiro
assistente di produzione Paolo Paggi
produzione Karamazov Associati (CapoTrave/Kilowatt, Progetto Goldstein, Pierfrancesco Pisani)
in co-produzione con Teatro Insonne
con il sostegno di AMAT, CSC Centro per la Scena Contemporanea Bassano del Grappa, Sosta Palmizi, Naturalmentesana, Onlus Il Crogiuolo, Libera Università Oki Do Mikkyo Yoga e Wabi Sabi
selezionato per Anticorpi eXplò 2016 – Network XL
prima assoluta
Kilowatt Festival, Teatro alla Misericordia, Sansepolcro, 18 luglio 2017
Un suono primordiale, ipnotico, che vibra come un onda del mare con il lancio di un sasso, attira subito l'attenzione del pubblico: una sorta di sciamano, di monaco, sta suonando una campana tibetana.
Una luce soffusa, che sembra provenire dalle fessure di una serranda chiusa, illumina lo spazio. Dal buio si sente il rumore discontinuo di legni che battono insieme, che dettano il ritmo della danza che avviene in proscenio. Una figura femminile, vestita di nero e rosso e coperta da un'inquietante maschera scura, è intenta a celebrare una danza della fertilità, finalizzata a rendere grazie alla natura.
I colpi del legno vengono sostituiti dal suono soave di un flauto, anch'esso suonato dal vivo da Mugen Yahiro. Masako Matsushita, nel frattempo uscita di scena, rientra sotto sembianze di un affascinante e misterioso felino bianco, portatore di meraviglia e bellezza.
Di nuovo in scena insieme, i due artisti italo/giapponesi, entrambi coperti in volto (uno da una maschera che ricorda quelle tradizionali del teatro nō, l'altra dal proprio costume), danno avvio a una danza animalesca, accompagnata da una musica inquietante. I corpi vengono invasi da questi suoni elettronici, più o meno lenti e prepotenti: lottano tra di loro o si dimenano nello spazio, rimangono immobili o si muovono in perfetta simbiosi, protagonisti di una continua metamorfosi, finché non si ritrovano a eseguire una danza meccanica e folle, tempestata da flash accecanti.
Un filo invisibile lega noi ai performer e i performer tra di loro e, insieme, partecipiamo a questa cerimonia, a questo rituale, in cui natura selvaggia, animali, mostri ed essere umani convivono, forse nell'attesa di un banchetto o per prepararsi a una battaglia.
Nella scena successiva l'ombra invade lo spazio, solo dei lampi di luce discontinui illuminano Masako Matsushita, per la prima volta con il volto scoperto. La osserviamo muoversi in tutta l'eleganza dei suoi movimenti, che raccontano la storia di questa straordinaria danzatrice e coreografa: il suo ritorno alle origini, la riscoperta delle proprie radici.
Il battito cardiaco degli spettatori segue il ritmo dei Taiko, i grossi tamburi tipici giapponese nel frattempo portati in scena, come quello di un neonato segue quello della madre dentro il grembo materno. Il suono dei tamburi, simile a un boato, a un tuono grave, esplode in tutta la sua grandezza inondando di sacralità il Teatro alla Misericordia di Sansepolcro, una sacralità che innalza la danza e la musica a qualcosa di ultraterreno.
Mugen Yahiro diventa un tutt'uno con le bacchette che colpisce nei tamburi. Quando il ritmo rallenta e sembra stia per arrivare la quiete, le percussioni tornano a farsi energiche, rimbombano nello spazio, al di là di qualsiasi schema. L'immensità del suono sta nella potenza del corpo, che non si limita a suonare, ma esplode nel massimo della sua libertà espressiva e dal cuore dello strumento irradia la sua energia.
"Mi batteva forte il cuore", dichiara una bambina in prima fila dopo 45 minuti di silenzio assoluto in sala: una frase pura e spontanea che racchiude l'essenza di Taikokiat Shindō, uno spettacolo che ti travolge l'anima, ti cattura, per catapultarti in un altrove lontano eppure vicino.
Sara Bonci