Sara Martin SCENOGRAFIA E SCENOGRAFI Il Castoro, Milano, pp.157, Euro 15.50 (CINEMA - Alberto Pesce)
Quale sia in un film "il mestiere dello scenografo", in stretta collaborazione con arredatore e attrezzista e per sensibilità e gusto artistico in sintonia con il regista, disegnatore di scene, architetto, decoratore, pittore. E come nel cinema italiano si sia caratterizzato il suo contributo, "realismo minimo" di Alfredo Manzi, "simbolismo visionario" di Enrico Prampolini, "teatro mobile" di Antonio Valenti, "verità ambientale" di Virgilio Marchi, "décor sontuosi ed elaborati" di Mario Chiari, simboliche stilizzazioni di Carlo Egidii, versatilità di Gianni Polidori, con Danilo Donati e Dante Ferretti "décor come puro spazio di rappresentazione", inventività e rigore di Andrea Crisanti, e altro ancora sino alla tecnologia digitale. Sono queste le due prospettive con cui, prima di concludere discorso con un'intervista a Francesco Frigeri, Sara Martin premette a minuziose analisi di una serie di film italiani. Per Cabiria (1914) coglie due modalità di Luigi Romano Borgnetto , "scenografie 'eccedenti' e monumentali ed effetti speciali spettacolari". Di Mario Camerini, sfiorate le prime quattro commedie, privilegia Il signor Max (1937) con ambienti scenici "archetipi del cinema dei telefoni bianchi". Nel rosselliniano Germania anno zero (1948) puntualizza "il naturalismo descrittivo", in Ulisse (1954) la "concezione dello spazio" che aveva Flavio Mogherini, nel felliniano La dolce vita il talento di Piero Gherardi, nel viscontiano Il Gattopardo (1963) "lo sfarzo e la magnificenza delle ricostruzioni!" di Mario Garbuglia. Infine, accosta, del 1964, Il deserto rosso di Antonioni, scenografo Piero Poletto, e Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, scenografo Luigi Scaccianoce, ambedue con personaggi "inscindibili dalla rappresentazione dello spazio, dell'ambiente e del colore".
Alberto Pesce
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