Dramma giocoso per musica.
testi di Angelo Anelli
musiche di Gioachino Rossini
Prima esecuzione: 22 maggio 1813, Venezia
Mustafà: Simone Alberghini
Elvira: Martina Bortolotti
Lindoro: Francisco Brito
Isabella: Laura Polverelli
Taddeo: Andrea Vincenzo Bonsignore
Zulma: Chiara Brunello
Haly: William Corrò
Direttore: Giancarlo Andretta
Regia: Bepi Morassi
Scene: Massimo Checchetto
Costumi: Carlos Tieppo
light designer: Vilmo Furian
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
maestro al fortepiano Oberta Ferrari
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, Teatro La Fenice, 26 febbario 2019 (altre date 28 febbraio 1, 2, 3, 5 marzo 2019)
Tra yacht di lusso e corsari del XX sec.: un cocktail con troppi ingredienti l'Italiana in Algeri della regia di Bepi Morassi per La Fenice di Venezia
E' definita da Stendhal come "la perfezione del genere buffo", vivace, assurda nell'intrigante gioco e delle relationi tra le parti: L'Italiana in Algeri di Gioachino Rossini è un continuo gioco musicale e di parole non sense che raggiungono il loro apice negli gli inserti corali del finale del primo atto, l'apoteosi dell'onomatopeico tintinnare del campanello, e la gag grottesca del gabbato Mustafà-Pappataci, che occupa una buona porzione del secondo atto. Fantasmagorica è la musica e la storia, tratta da un fatto reale di cronaca del 1805, tra intrallazzatori e gabbati, amanti perduti che si ritrovano in terre lontane e agnizioni. Eppure tutto questo intruglio è riuscito solo in parte in questo allestimento prodotta dalla Fenice di Venezia come opera di Carnevale. Ha avuto una navigazione assai perigliosa questa produzione, che tra scioperi e assemblee sindacali, non ha avuto prove sufficienti per far collaudare a dover lo spettacolo e le voci; è stata fatta saltare la rappresentazione prevista per il 24 febbraio e di conseguenta quella del 26 febbraio è stata la prima operativa con il secondo cast integrato dal Mustafà di Simone Alberghini al posto dell'indisposto Andrea Patucelli . Ma questa situazione non induce scuse per poter affermare che dal punto registico, a cura di Bepi Morassi, ci si è trovati davanti ad uno spettacolo un pò squinternato. Troppi gli inserimenti scenici e registici senza una precisa logica o idea, quasi un catalogo di un negozio di brocantage, per gli eccessi di riferimenti tratti dal mondo varigato delle regie liriche: il cineoperatore di turno, la palestra fitness, auto e quant'altro su ruote, intrusioni di figuranti che interferiscono con le azioni scenice dei solisti. Ambientata su un lussuoso Yacht, ricostruito dalle scenografie di Massimo Checchetto, con un equipaggio un pò yankee, a maglietta a strisce bianche e blu, e un pò in versione ISIS, che assiste alle prestazioni ginniche di Mustafà, corsaro in crociera con il suo harem di turno in attesa di qualche altra interessante preda. Perchè far cantare Lindoro da palombaro stalunato, appena riemerso in carenza di ossigeno, con tanto di casco in un'aria che è già difficile per sè, costringendo il tenore Francisco Brito ad una improba prova? Salti di crologia nei costumi, realizzati da Carlo Tieppo con la sartoria teatrale del teatro, tra fine '800 e avanzato'900 che fanno ancor più propendere il tutto per una mascherata voluta e perseguita, se poi si è inserito un coro di corsari in versione alla turchesca e odalische di contorno a Mustafà, insieme a cuochi in versione Pappataci. Se ci aggiungiamo poi i siparietti dipinti nella parte finale non manca nulla in questa lettura composita. Prendiamo atto di questa linea interpretativa che ha compromesso anche l'idea brillante di ambientare il secondo atto nello spaccato di questo Yacht tra i vari livelli di ponti fino a far emergere le stive e facendoli attraversare, con un gioco di passaggi, dalle azioni dei vari personaggi. Tecnicamente riuscita la sopraelevazione dei piani della nave fino a far comparire le stive, popolate dagli schiavi,
in versione migranti nostrani, che, liberati, riprendono il mare con la valigia in mano. Dal punto di vista musicale non è stata certamente una edizione memorabile. La direzione musicale, affidata a Giancarlo Andretta, si è comportata in modo prudente, visto anche la situazione oggettiva di mancanza di prove d'assieme, senza pretendere troppo dall'orchestra, lasciando le voci che in qualche modo che si arrangiassero in relazione alla personale esperienza nei rispettivi ruoli. Un pò carente il versante femminile con l'Isabella della Laura Polverelli e l'Elvira Martina Bortolotti, che hanno tenuto nella resa vocale ma senza suscitare grande interesse o emozione, disinvolta invece la Zulma di Chiara Brunello. Ne hanno approfittato gli elementi maschili con al comando il Mustafà, di comprovata esperienza, di Simone Alberghini, coadiuvato da un brillante Taddeo di Andrea Vincenzo Bonsignore che, nella gestione complessiva dello spettacolo, viene caricato anche vocalmente della versione farsesca del personaggio. Nel complesso buone sono state le prove dell'Haly di William Corrò e certamente il Lindoro di Francisco Brito che ha dimostrato di possedere capacità di canto nelle agilità e nell'esprimersi nelle linee più acute della parte con un ottimo senso attoriale nel gestire il suo personaggio. Il successo non è mancato da parte del pubblico variamente composto tra turisti e abbonati del turno A. Del resto L'Italiana in Algeri è un meccanismo troppo perfetto perchè non dare un risultato, ma si poteva aspettare qualcosa in più da una nuova produzione del Teatro La Fenice che vuole essere riconosciuto come modello dell'Italia della lirica.
Federica Fanizza