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RIGOLETTO - regia Giandomenico Vaccari

"Rigoletto", regia Giandomenico Vaccari "Rigoletto", regia Giandomenico Vaccari

Opera in tre atti di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor Hugo Il re si diverte
Prima rappresentazione 11 maggio 1851, Teatro La Fenice, Venezia
Direttore d’orchestra: Daniel Oren
Regia: Giandomenico Vaccari
Maestro del coro: Francesco Aliberti
Scene e costumi: Alfredo Troisi
Coreografie, Pina Testa
Assistente al direttore d’Orchestra, Francesco Rosa
Assistente alla regia, Alessandro Idonea
Il Duca di Mantova, Arturo Chacón-Cruz
Rigoletto, Roman Burdenko
Gilda, Jessica Pratt
Sparafucile / Il Conte di Monterone, Carlo Striuli
Maddalena, Alisa Kolosova
Giovanna, Miriam Tufano
Marullo, Italo Proferisce
Matteo Borsa, Vincenzo Peroni
Il conte di Ceprano, Michele Perrella
La contessa di Ceprano/ Un paggio della Duchessa , Miriam Artiaco
Un usciere di corte, Antonio De Rosa
Orchestra Filarmonica Giuseppe Verdi di Salerno
Coro del Teatro dell’Opera di Salerno
Nuovo allestimento del Teatro Giuseppe Verdi di Salerno 29 maggio e 1 giugno 2025

www.Sipario.it, 9 giugno 2025

Cosa è un dramma musicale se non una sequenza di accadimenti spesso irreversibili che servono a narrare della condizione umana? Rigoletto che Verdi mise in musica partendo dal dramma di Victor Hugo è il vero riferimento ad una condizione di disperazione ed impotenza che un povero uomo storpio e vessato come il protagonista è costretto a subire. E già la condizione umana, quella che serve a dare il senso alla propria vita. Ma quella di Rigoletto è una vita difficile fatta di privazioni e di disamori. Unico suo punto fermo è la presenza di Gilda sua figlia. Ecco per colei che è il vero punto di lontananza e di vicinanza del protagonista, egli si carica addosso la sua impotenza e cerca di difenderla dalle inalterate forme di potenza del Duca di Mantova, vero protagonista crime della storia. Ebbene tutto questo diventa un vero vaticinio. Rigoletto vorrebbe la morte di tutti i cortigiani (“vil razza dannata”) vorrebbe accoppare il Duca con tutta la sua forza ma combatte con la disperata solitudine di un uomo inutile se non per essere balocco dei potenti. E’ una dura battaglia la sua ma grazie a  Giuseppe Verdi Rigoletto diventa il vero eroe di tutti i giorni. Un giorno di ordinaria follia è quello di Rigoletto, egli cerca in tutti i modi di rivalersi sulla meschina vita che gli è stata destinata. Ci prova. Ci prova coinvolgendo Sparafucile killer di professione che si rivelerà poco serio. Ma il destino, quello che Verdi conosce bene sulla sua pelle, lo porta sulle rive del fiume per scoprire il cadavere di Gilda che doveva essere quello del Duca di Mantova. Egli invece vive sano e salvo godendo del suo diritto di nobile e potente uomo. Ma la dolenza è fortissima. Verdi scrive con questa opera un vero punto di riferimento per quello che lo stesso Puccini poi porterà avanti. La solidarietà umana per l’ultimo. La vittima che non diventa carnefice ma che scopre il sapore della vendetta. Ma sarà poi che Verdi in Rigoletto proiettava alcuni suoi demoni? Della trilogia popolare questa è l’opera più contemporanea delle tre e più potente. Rigoletto è il vero Don Giovanni mozartiano. I riferimenti al capolavoro di Mozart sono ben chiari nella psicologia di due uomini che su piani opposti cercano la vendetta alla disperazione cercando destini tragici. Volendo arrivare alla fine di una strada impossibile. Ma è la scrittura di Mozart che trova in Verdi una linea diretta in quel modo così unico di trattare la sensualità incarnata nella disperazione. Eros e pathos. Freud ha creato il vero destino dell’uomo attorno a questo tema. Bene dunque Giuseppe Verdi usa il libretto di Francesco Maria Piave per rifare il proprio destino come una possibile scelta di vita. Rigoletto è dunque colui che sa di essere destinato al fallimento. O forse alla libertà di finire. Ecco quindi come questa opera nella sua rappresentazione evoca il costante contatto con una realtà che sarebbe stata poi quella di Puccini e non solo.

La nuova produzione del Teatro Verdi di Salerno si è presentata come una delle più interessanti degli ultimi tempi. Daniel Oren è sempre più coerente con quella sua visione di traduttore di umane vite. Il suo modo di segnare il suono è talmente evidente ed importante da renderlo ad oggi come un direttore fra i più veritieri del senso musicale. Guida l’orchestra della Filarmonica Verdi in una maniera esemplare. E gli orchestrali sanno bene dove arrivare, portando in campo una versione di Rigoletto talmente fatta bene da ricordare antiche esecuzioni (quelle di Serafin ad esempio). La compagnia è perfetta non fosse altro che la presenza di Jessica Pratt domina su tutta la scena. La sua carnale Gilda trasuda umana presenza come poche. Sembra di sentire tutta la vita che scorre nelle note di un canto arduo e di bella tessitura. La sua esperienza supera alcune difficili punti che richiedono una tecnica che vada oltre il belcanto. E’ perfetta. Da par suo Roman Burdenko rimane potente nel reggere lo scomodo e difficile ruolo di Rigoletto. Prova e riesce a dare quella sintesi d’umana vita di uno dei personaggi più tristi dell’opera lirica. Non sempre riesce a rendere l’umana cupidigia affettiva Arturo Chacon Cruz che sembra sorvolare sulla cattiveria dolente del Duca di Mantova. Per certi tratti sembra che stia interpretando Nemorino . Infine Carlo Stiuli nel doppio ruolo di Sparafucile e del Conte di Monterone convince. Funziona il resto del cast come il coro che è perfetto sotto la direzione di Francesco Aliberti che riesce a dare alla compagine salernitana una significativa  scenica e vocale. Sulla regia di Giandomenico Vaccari potremmo sintetizzare in una sorta di ridimensionamento fra Luchino Visconti e Pasolini. Ma crediamo fermamente che né Visconti e né Pasolini avrebbero trasformato la scena del dramma verdiano in una dimensione altra con riferimenti non sempre utili a far comprendere il dramma. A volte con tanto materiale a disposizione basta poco. Dicesi anche dei balli novecentisti coreografati da Pina Testa. Se fossimo ai tempi del cafè chantant sarebbe perfetto. Ma comprendendo che Vaccari voleva usare Rigoletto per rimescolare i domini dittatoriali si legge in una linea anche l’inserto coreografico del primo atto. Ma ci vuole una grande dose di contemporaneo segno per apporre ad un’opera romantica una narrazione non romantica. Rigoletto ha in se già la disperazione che Pasolini porterà nella sua vita. Lo stesso Visconti ha declinato sia a teatro che al cinema quella dissonanza vitale per poter narrare l’evoluzione/involuzione della specie umana. Rigoletto rimane il vero riferimento dell’umana solitudine e Verdi è ben consapevole di compiere un vero atto di fede verso quella perdita di capacità affettiva tipica dell’essere umano. 

Marco Ranaldi

Ultima modifica il Domenica, 22 Giugno 2025 05:15

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