Direzione musicale: Alain Altinoglou
Regia: Ralf Pleger
Coreografia: Fernando Melo
Direttore Coro: Martino Faggiani
Tristano: Christopher Ventris
Re Marke Franz Joseph Selig
Isolda: Ann Petersen
Kurneval: Andrew Foster-Williams
Brangaene: Nora Gubisch
Melot: Wiard Withold
Bruxelles, La Monnaie dal 2 al 19 maggio 2019
Wagner, come Nietzsche, non accetta riserve né equidistanze. Il loro stile è militante. Credono fino in fondo alle loro profezie. Appartengono, insomma, ad un altro secolo. Quello delle certezze (anche negative) vissute fino in fondo. Oggi ascoltiamo Wagner (e leggiamo Nietzsche) senza le certezze né gli entusiasmi (o le avversioni) del passato. Anche perché è inevitabile proiettare su di loro – a ragione o a torto – le ombre della Germania che e' venuta dopo. Bayreuth (e Wagner) sono diventati luoghi sacri del nazismo. E il Parsifal (1882) era l'opera profetica, che annunciava l'avvento dell'epoca salvifica. Cinquanta anni dopo è arrivato il Terzo Reich. Il Tristano (1859) appartiene ad un'epoca precedente. Certo, sia Parsifal che Tristano vivono costantemente sull'orlo dell'abisso. Ma in Tristano niente profezie, niente resurrezioni. Solo il tormento dell'uomo (e della donna, Isotta) combattuti tra tenebre e luce. Con la finale scelta delle tenebre come il luogo della pace, del ritorno alle origini prenatali, e addirittura cosmiche. Le droghe (i filtri, preparati da Brangaene) che eccitano il desiderio - tipicamente romantico e, aggiungerei, tedesco - di assoluto. E la mano implacabile del destino. La riproposizione del Tristano al La Monnaie – dopo il Parsifal di Castellucci di qualche anno fa – è sobria e riflessiva. Coro e balletto sono ridotti all'essenziale. Splendide le scene di un bianco abbacinante, per il resto gesti e recitazione sono ridotti all'osso. Gli effetti di straniazione e di sdoppiamento della personalita'dei protagonisti, indotti dalle droghe e voluti esplicitamente dal libretto wagneriano, sono stati resi con una recitazione imbambolata, gli occhi dei cantanti innaturalmente fissi e i gesti esasperatamente lenti, come costassero fatiche supreme. Senza enfasi eccessive anche la direzione orchestrale di Altinoglu. Solo nel duetto d'amore del secondo atto, il volume dei suoni, gli squarci delle luci e i conpi contorti del balletto hanno dato un saggio dell'arte totale wagneriana. E, naturalmente, l'epilogo, struggente, un sussurro dolcissimo che accompagna la morte di Isotta. È stato, insomma, un Tristano moderno. Che ha dato risalto all'eroe che si piega su se' stesso e si chiede se tutto, la fedeltà, l'onore, l'eroismo, persino l'amore non siano solo fuochi fatui nella notte, increspature sull'oceano del nulla. E che al Nulla, alla Notte, con voluttà si abbandona. Un Wagner insomma che non conosce ancora le certezze di Parsifal. Ma fa pensare, piuttosto, a Freud e Pirandello. E naturalmente a Nietzsche.
Attilio Moro