azione in tre atti
libretto e musica: Richard Wagner, direttore d’orchestra: Stefan Anton Reck, regia: Stephen Pickover, scene e costumi: David Hockney, luci: Andrea Anfossi, maestro del coro: Claudio Fenoglio
con John Treleaven / John Uhlenhopp, Eva Johansson / Gabriele Maria Ronge, Kurt Rydl / Ethan Herschenfeld, Albert Dohmen / Ned Barth, Hermine May / Lioba Braun
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Torino, Teatro Regio, dal 11 al 24 aprile 2007
«Tristano» e Hockney Una regia disneyana
L' allestimento di Tristan und Isolde in scena a Torino fino a martedì è di quelli che sfuggono la collocazione in ogni casella estetica definitiva. È storico perché la Los Angeles Opera l' ha prodotto 20 anni fa ma non ha segnato la storia della messinscena wagneriana; è originale perché son rari i Tristano in cui si vedano costumi medievali, vere tolde di navi e grotte/giardini dove consumare notti d' amore, ma d' un realismo talmente fiabesco da sfiorar la parodia; ha il pregio, in tanto medioevo, di dire che il codice cavalleresco è ingrediente primario di questa drammaturgia, di peso almeno pari alla leggenda, ma veicola il concetto in un' iconografia tipo Walt Disney - o se si preferisce, da programma televisivo per bambini - che lo ridicolizza. La scenografia reca una firma prestigiosa, quella di David Hockney. Ha un segno così marcato che è impensabile non influenzi la regia di Stephen Pickover (in USA però la realizzò Jonathan Miller), che dunque traduce quel realismo fiabesco in un realismo gestuale, inevitabile ma di cui si farebbe volentieri a meno. Meglio così, però, perché l' unica trovata «autonoma» del regista è sbagliatissima: vuole cioè un Re Marke parecchio incazzato nello scoprire l' infedeltà del più amato dei cavalieri. Errore grossolano, non perché tradisca il fatto che Marke in quel frangente dipinga se stesso «teneramente inquieto» ma perché il particolare è troppo bello per rinunciarvi: uno di quei vertiginosi dettagli (scaturisce dal tema del Mitleid) che permettono di misurare l' incommensurabile grandezza di Wagner anche come drammaturgo. E non è scoperta odierna che il monologo di Marke sia un vertice assoluto dell' universo wagneriano. Così «netto» sul fronte visivo, il Tristano torinese è quanto mai vaporoso invece sul fronte musicale. L' attenuante che Stefan Anton Reck può invocare è che il Regio è un teatro che «nasconde» le voci e dunque il suono orchestrale va particolarmente tenuto sotto controllo. Tutto vero, però sembra un suono che manca di radicamento nel terreno, privo di spessore armonico. E privo al contempo di energia propulsiva, di carattere. Bene le voci, a parte l' incerta intonazione di John Treleaven (Tristan) nel registro acuto, dove fatica molto. Più corretta l' Isolde di Eva Johansson. Bene la Brangäne di Termine May e benissimo il Kurwenal di Albert Dohmen. Per il Marke di Kurt Rydl vale quanto sopra, con l' aggiunta che il vecchio basso ci mette del suo. Tiepido il pubblico sabaudo che funesta la recita con una quantità intollerabile di colpi di tosse.
Enrico Girardi