di Sarah Kane
regia Valentina Calvani
con Elena Arvigo
scene, costumi e luci Valentina Calvani e Elena Arvigo
musiche originali Susanna Stivali
foto di scena Pino Le Pera
Milano, Teatro Out Off dall'8 al 27 gennaio 2019
Vent'anni di fragore
Considerare discussa Sarah Kane è giusto. Sarebbe sbagliato considerarla discutibile. La controversa drammaturga britannica ha infatti già combattuto con la critica a lei contemporanea, pronta a salire nuovamente sul ring non appena la sente nominare. Ma la sua effige è ormai perfettamente incuneata nella new angry generation inglese e neanche la penna più astuta riuscirebbe a declassarla. Dal guscio eccessivo e violento, i testi di Kane hanno un cuore per nulla banale e la loro fragranza, sia shakespeariana sia beckettiana1, riequilibra l'apparenza in maniera consistente. L'ultimo dei suoi scritti, 4:48 Psychosis, è un testamento di espiazione, lo sfrenato flusso di coscienza di una morte che vuole sopraggiungere, di una materia grigia che vuole diventare nera; ma mantiene un carattere evocativo, lirico e poetico preservato dall'interpretazione di Elena Arvigo. Pesanti le immagini che l'attrice scocca, errante per un impiantito di vite e vetri spezzati. Tre lampadari, schiantati ai margini del palcoscenico, sono i principali punti luce. Una gravità malsana sottomette la scenografia facendola precipitare sullo spazio, sporco di terra, evocando una primordialità analoga al lavoro su The rite of spring di Pina Bausch. La protagonista è ora costretta ad un'esistenza da solitario, dopo aver perso l'ultima battaglia a poker con la vita che continua a barare, guardando la sua mano attraverso uno specchio. Intersecare la protagonista del testo di Kane con qualche maschera pirandelliana è plausibile: "[...] suadente, la voce della ragione dello psichiatra mi dice che c'è una realtà oggettiva in cui il mio corpo e la mia mente sono una cosa sola. Ma io non sono qui e non ci sono mai stata". E forse non si sbaglia a evidenziare un frammento fondamentale de La carriola nel lungo monologo: "Lo spirito mi s'era quasi alienato dai sensi, in una lontananza infinita, ove avvertiva appena, chi sa come, il brulichio d'una vita diversa, non sua, ma che avrebbe potuto esser sua, non qua, non ora, ma là, in quell'infinita lontananza; d'una vita remota, che forse era stata sua, non sapeva come né quando [...]". A differenza dell'avvocato, unico personaggio della novella, che si vede vivere riconoscendosi come altro da sé, Sarah non si riconosce e se si guarda allo specchio si vede grassa. A chiudere lo spettacolo, un quadro ben delineato: una luce elettrica che si spegne dentro una beuta, simulacro della chimica; la stessa che ha preteso di frenare la sua malattia e che, alla fine, l'ha lenita per sempre. Un grido, una richiesta di aiuto: "per favore, aprite le tende". Le strade della vita e della libertà sono parallele, nel personaggio di Kane, separate da una distanza infinita dopo il bivio delle 4:48. E in quel punto lei è costretta a scegliere: seguire un percorso, con la speranza che migliori, o imboccarne un altro, con la certezza di cambiare. Ha fatto bene? Ha fatto male? I giudizi categorici stonano: semplicemente, l'ha fatto. "Libertà va cercando, ch'è sì cara / come sa chi per lei vita rifiuta"2. Per il custode del purgatorio, rinunciare a vivere è un gesto eroico e nemmeno Dante si sente di annoverarlo tra i dannati. Nel caso dell'autrice, più che un rifiuto, è un'accettazione della vita che non può esistere senza la sua controparte generando una matassa sociale difficile da sbrogliare.
1 Luca Scarlini, da Sarah Kane, Tutto il teatro, Einaudi 2000;
2 Dante Alighieri, La Divina Commedia (Purgatorio canto I vv. 70-72).
Giovanni Moreddu