Uno spettacolo scritto e diretto da Luciano Bottaro
con Giovanna Cappuccio, Massimo Leone, Simone Arcese, Germana Di Marino
scene Stefano Zampieri
Roma, Teatro Duse dal 2 al 25 febbraio 2018
Aspettando Godot il giorno dopo, ovvero la scrittura del seguito del capolavoro di Beckett, prolungando così l'attesa, vana o proficua – chissà? – dei due sventurati protagonisti (Vladimiro ed Estragone). Che lo si faccia. Ma perché? Sono solo due degli interrogativi che possono spingere a vedere questo spettacolo in scena al Teatro Duse di Roma. Ci si andrà speranzosi di assistere a qualcosa che, pur prendendo le mosse dal teatro dell'Assurdo, sappia innovare. Ma non è così.
I due protagonisti son sempre allo stesso posto, lì a riempire il loro vuoto tempo con chiacchiere piene di luoghi comuni. Molto è stato ripreso dal testo originale e le variazioni son poche e non eclatanti al punto da rimanere impresse nella memoria. La più notevole fra queste è il padrone che conduce il suo servo al guinzaglio come un cane: in questo caso, il signore assume fattezze di una donna di facili costumi (una escort per l'esattezza), dotata di frusta e vestita con una attillata tunica di nero lucido.
Vladimiro ed Estragone parlano e parlano. Proseguono a sperare che questo signor Godot venga e che risponda alle loro domande. Quando son sul punto di disperare, ecco dal fondo della piccola sala del teatro fare il suo ingresso un signore di colore, pingue e vestito in modo un po' ridicolo: con una giacca che si chiude a fatica e un cappello in testa. Chi è? Non si hanno dubbi: è Godot.
Vladimiro ed Estragone possono finalmente porgli tutte le domande che desiderano. Ma ne avranno a disposizione tre soltanto. Non di più. È un sistema messo a punto da Godot proprio per scoraggiare gli altri dall'esagerare nel chiedergli cose alle quali sarà obbligato a fornire risposte più che esaustive. I due sciupano tutte le possibilità. Ma gliene verrà concessa in dono una in più. Decidono di non sprecarla. Domandano a Godot il perché la vita sia così, il motivo per il quale l'umana esistenza proceda in tal modo: a quale scopo tutto è esattamente come lo conosciamo? Godot tentenna, medita sulla risposta da dare. Infine, si pronuncia: "E perché no"? Qui termina la rappresentazione, con una musica di sottofondo (What a wonderful world) sulla quale si chiude il sipario.
Era esattamente questo che ci si attendeva da Aspettando Godot il giorno dopo? Onestamente, più che una prosecuzione dell'originale – o un suo omaggio – è parsa una parodia scarna e miserella del genio di Beckett. È comprensibile la difficoltà nel voler andare oltre questo genio del teatro contemporaneo. Ma allora perché tentare, sapendo che egli è giunto alle vette di certe possibilità drammaturgiche? Forse per fornire un'interpretazione del presente? E sia. Allora non sarebbe stato meglio inscenare direttamente Aspettando Godot, magari con una bella metafora appositamente predisposta per la messinscena?
In tal caso, i nostri tempi sarebbero stati meglio intesi e raffigurati. In questo modo non solo si è perduta un'occasione, ma si è anche svilito un capolavoro del teatro contemporaneo da trattare col dovuto rispetto.
Pierluigi Pietricola