AMLETO²
di Filippo Timi
con Filippo Timi, Lucia Mascino, Marina Rocco, Mattia Chiarelli, Gabriele Brunelli
luci Oscar Frosio
suono Emanuele Martina
regia Filippo Timi
produzione Teatro Franco Parenti
Mestre (Venezia), teatro Toniolo, 21, 22, 23, 24, 25, 26 gennaio 2025
Può Filippo Timi shakerare un testo classico shakespeariano e proporlo solo come una rilettura? Può, ma non è questo il caso. Amleto² infatti va ben oltre, mischia genialità, sofferenza, estro, l’Io narciso, e se vi venisse in mente qualcos’altro aggiungetelo pure. E mescolate anche voi, agitate. Di sicuro Timi è uno dei grandi artisti che rappresentano in pieno l’ecletticità che, se non viene frequentata da gente di talento può perdersi, sfuggire e non arrivare a compiere un percorso raffinato, che invece è proprio quello dell’attore e regista umbro. Il suo Amleto² è una coloratissima messa in scena che riguarda tutti noi, dai primi giovani spettatori a quelli più attempati, e ognuno può goderne lo spirito, le vicissitudini di un doppio dai dubbi amletici sul teatro, la vita. E’ un gioco crudele. Nello spettacolo, tutto il mondo dell’attore-regista scoppia pirotecnicamente con ironiche e simboliche, metaforiche stelle filanti filotimiche che arrivano in sala per la delizia del pubblico. Il suo Principe di Danimarca è lui e siamo noi, in un ribaltamento continuo dell’essere, che si sia principi o dive del cinema, regine, servitori, fidanzate sospese sui trapezi. Tutti simboli dello scorrer del tempo, visionario eppur reale, dove i personaggi sono dietro e qualche volta davanti a una gabbia simil circo, come tigri o leoni. Va in scena dunque anche qui l’uomo e la sua follia, e Amleto rovescia se stesso, rispetto a Shakespeare. Non ne può più della sua Ofelia, né della madre, tratta male il suo paggio, e dà voce attraverso i personaggi a visioni stupefacenti. E’ una recita. E’ un gioco, crudele. Abbiamo visto lo spettacolo al teatro Toniolo di Mestre, nella stagione artistica Arteven, davanti a un pubblico numerosissimo e in attesa fremente di vedere stavolta cosa Timi riservava. Il suo Amleto è di tutto e di più, triste e brillante allo stesso tempo, meravigliato, arguto e difficile, disgustato. E i personaggi attorno ruotano, attoniti e stupefatti anche loro, divertiti anche loro: Una Marilyn in attesa del Premio Oscar, ambito all’inizio con un’orgasmica interpretazione del piacere, e anche spettro (smascherata) del padre, una Regina Gertrude arrabbattata e comicamente furibonda, isterica, dove il teatro è come detto, la vita, ma nella sua più povera definizione: malata, arrabbiata, depressa. Sono tante le cose che restano a galla, perché Timi va sempre oltre quello che ci attende, e diverse le stratificazioni di lettura del malessere e della felicità, e ancora della noia. Il significato di tutto, e del puro gioco, quello crudele. Dove c’è molto teatro e la sua pregnanza significativa. Detto delle bravissime Mascino e Rocco, due attrici davvero eclettiche, rimane il (mio) dispiacere di non aver potuto vedere all’opera la dolce Ofelia, destinata all’annegamento seppur avvisata da Amleto, nell’interpretazione di Elena Lietti(che invece si può vedere su Rai Play, volendo), e che a causa di un’indisposizione è qui sostituita dal performer volteggiante e marionettistico Mattia Chiarelli. Ancora, Gabriele Brunelli, un attore-paggio sicuro, e ovviamente Filippo Timi, ancora geniale e irriverente che spazia dai canti Belafontiani di Banana Boat Song a scalare la ferrosa gabbia, a porre sul trono un enorme Puffo come regnante virtuale e simbolico, e ancora a sdoppiare il suo Amleto. Sempre all’insegna di un motto, Che teatro squallido è la vita. I momenti alti sono tanti, ne cito qualcuno che rende omaggio alla bravura degli attori: la vibrante e oltraggiosa Regina Gertrude nel suo blaterare biascicato e alle prese con l’emissione di gas intestinali, da manuale, Lucia Mascino, il momento di Timi-Amleto con sulle spalle l’Ofelia pupazza e stravolta, con il grande Jimmy Scott e la sua straziante versione di Nothing Compares 2 U a far parte integrante, e i più tentativi di suicidio di Marilyn o il suo doppio con, finalmente, la statuetta dell’Oscar ricevuto, un vero pezzo da manuale di Marina Rocco, di grande forza drammaturgica e interpretativa. Come detto, pubblico da grandi occasioni, con qualcuno che si attendeva un Amleto in piena regola, classico. Ma non conosceva così bene, evidentemente, Filippo Timi. E’ un gioco, ma crudele. E decisamente, oniricamente timico. E il resto è silenzio. Francesco Bettin