Drammaturgia, regia, interpretazione di Silvia Zoffoli
Scene di Leonardo Carrano
Disegno luci di Marco Maione
Costumi di Maria Grazia Lasagna Mancini
Strutture scenografiche di Carlo e Roberto Zoffoli
Assistente alla regia Ilaria Montagna
Teatro Due Roma, teatro stabile d'essai dal 23 al 25 ottobre 2012
Amalia e basta, monologo vincitore del premio "Sipario – Autori Italiani 2012", tenta ora le scene con una sorta di "Primo studio", come recita il titolo completo dello spettacolo ospitato sui palchi del Teatro Due Roma. Teatro stabile d'essai, all'interno della terza edizione della rassegna "Sguardi S-velati: punti di vista al femminile". Rappresentato e messo in scena dall'autrice stessa, Silvia Zoffoli, Amalia e basta è uno spettacolo semplice ed ironico in cui si affronta il tema poco trattato dell'ipoacusia, anche tentando di dissipare alcuni dei luoghi comuni che ancora accompagnano quella che nel testo viene definita come una disabilità invisibile.
Una scenografia essenziale e colorata, due pannelli, dei quadri, uno sgabello e un orologio che segna un tempo che non passa mai per Amalia, hostess di museo, che ci appare sin dall'inizio completamente immersa in un suo silenzioso fantasticare. Quando parla fra sé e sé Amalia ha una voce che scorre fluida, limpida, senza intoppi; una voce che asseconda il movimento del suo pensiero, lasciando che ne emergano frammenti disordinati di ricordi, di emozioni. All'improvviso però questo monologo interiore si interrompe, Amalia si accorge che qualcuno le sta parlando, ma lei troppo distratta non riesce a cogliere il senso delle sue parole; la ritroviamo così quasi smarrita, percepiamo una difficoltà nel suo modo di relazionarsi con il mondo esterno, e ci accorgiamo che la voce che usa per comunicare è completamente diversa dall'altra, più stentata, decisamente meno limpida. È questo doppio registro, che all'inizio ci lascia spaesati, a permetterci piano di vedere la sordità prima invisibile di Amalia.
L'autrice condensa nella durata dello spettacolo tutte le vicissitudini della sua protagonista, l'infanzia, le timidezze e gli amori della prima adolescenza, le disillusioni, fino ad arrivare al lento costituirsi della sua individualità. Lo spettacolo, tutto molto curato, scorre più fluido all'inizio, mentre nel finale appare leggermente diluito. Il prolungamento della narrazione al di là della cornice scenica in cui per tutto il tempo era stata ambientata, la sala del museo, non sembra abbastanza motivato. Si avverte una certa forzatura verso la conclusione, e anche verso un lieto fine, l'avvenuta e trionfante accettazione di sé di Amalia, che rischia in parte di far dissolvere la sensazione di ironica leggerezza che ci ha accompagnato per tutto lo spettacolo.
Federica Spinella