Tindaro Granata / Proxima Res
di e con Tindaro Granata
scene e costumi Margherita Baldoni, Guido Buganza
rielaborazioni musicali Daniele D'angelo
suoni e luci Matteo Crespi
2010 Premio borsa teatrale Anna Pancirolli
2011 Premio nazionale critici teatrali italiani
2012 Premio Fersen
Teatro al Parco, Parma 24 gennaio 2014
Il 35enne Tindaro Granata, siciliano di Tindari - nomen omen - porta ormai da alcuni anni in giro per i teatri italiani la narrazione lieve e divertita degli ultimi settant'anni di storia della sua famiglia e, più ampiamente della sua terra, la Sicilia, dove i legami tra vita personale, sociale, civile e mafia sono intrinsechi e inscindibili. Inevitabilmente, allora, la storia della famiglia Granata, immortalata nelle istantanee degli eventi più significativi che l'hanno contrassegnata, coincide, quasi totalmente, con la storia di Tano Badalamenti, padrino del paese ed eminenza grigia della mafia tra Italia e America.
Su una scena vuota, fatta eccezione per una sedia, Granata rievoca - assumendo una pluralità di ruoli e replicando in parte la struttura dei cunti per pupi di Cuticchio, con un massiccio ricorso al dialetto – le vicende familiari che lo hanno portato ad esistere: dalla morte del bisnonno, suicida per impiccagione dopo la diagnosi di un cancro allo stomaco, agli spassosi improperi della bisnonna Concetta sulla tomba del trapassato, all'iniziazione mafiosa del nonno Tindaro - tenuta segreta a tutta la famiglia fino alla fine dei suoi giorni - , all'incontro tra nonna Rosa, promessa ad un ufficiale, ed il nonno umile pescatore, fino all'infanzia del padre Teodoro, poi migrante in Svizzera e che tornato per sposarsi, è costretto, per aprire una falegnameria, a piegarsi alla tacita legge dei Badalamenti. Su un fondale di scenari ancestrali e antichissimi, seppure distanti solo alcuni decenni dall'oggi, in cui regnano invincibili l'ingiustizia e il sopruso (chi nasce ricco, muore ricco; chi nasce povero, muore povero), fa infine capolino il protagonista stesso, deciso a cambiare le cose: dalla ribellione giovanile al padrino scaturisce il desiderio di partire per Roma e fare l'attore, per allontanarsi da uno status quo immutabile e combatterlo. Dopo un anno di leva in marina, Tindaro lascia la Sicilia, nel giorno in cui si impicca l'amico Tino, nipote di Badalamenti, distrutto dal disonore morale calato sulla sua famiglia, in tempi di maxi processi e commissioni antimafia. Due impiccagioni: gli estremi di un racconto sempre uguale. Lo spettacolo scorre via piacevole, divertente, acceso da toni folcloristici che strappano le giuste risate al pubblico, ma il ritratto antropologico che dovrebbe emergere dalla narrazione rimane sfocato. I passaggi da un quadro all'altro del racconto non fluiscono, ma si giustappongono scattosi, forzati, così come la gestualità del protagonista appare spesso irrisolta, solo abbozzata, soprattutto nei personaggi meno "caratterizzati" linguisticamente (nonna Rosa, il padre, sé stesso). Certamente la pièce è di denuncia, ma l'orchestrazione approssimativa di un paio di snodi fondamentali ne smorza gli intenti. La pantomima del "battesimo" mafioso del nonno a mezzo di un delitto (o almeno così è parso a chi scrive) è ostica a leggersi e pare quasi che a compensarne la fragilità sia dovuta la scelta di un iperenfatico Magnificat a corredo musicale, che ricalca non poco gli stilemi della cinematografia di genere (Il Padrino di Coppola in primis) e l'ormai scontato binomio mafia-sacralità, francamente poco tollerabile. Anche la punizione del Tindaro adolescente e ribelle è nebulosa ed il finale, la morte dell'amico Tino, senza aver letto il programma di sala, non è particolarmente immediata.
L'immobilismo morale e sociale della Sicilia ci viene perciò raccontato attraverso lo sguardo e la lingua di quattro generazioni, alternatesi sulla scena di una Trinacria selvaggia e ostinatamente sempre uguale a sé. Granata ci restituisce il senso di questo stallo attraverso la sua reazione "creatrice", con un pezzo di teatro di narrazione insolito, per molti versi innovativo, fresco e dinamico nella scrittura, rispetto a tante altre proposte del genere. Certamente l'impegno è onorevole, ma il lavoro, dal punto di vista scenico, ancora necessita di maggior sicurezza, per dire più e dire meglio. Ad maiora!
Giulia Morelli