di Franz Kafka
traduzione e adattamento Fausto Malcovati
regia Maurizio Scaparro
scene Emanuele Luzzati riprese da Francesco Bottai
costumi Lorenzo Cutoli
musiche eseguite da Alessandro Panatteri, Andy Bartolucci e Simone Salza
movimenti coreografici Carla Ferrara
con:
Giovanni Anzaldo, Ugo Maria Morosi, Carla Ferraro
e Giovanni Serratore, Fulvio Barigelli, Matteo Mauriello
Produzione Compagnia Gli Ipocriti con Fondazione Teatro della Pergola di Firenze
Milano, Teatro Menotti dal 5 al 15 febbraio 2015
Romanzo giovanile di Franz Kafka (Praga 1883 – Lierling 1924) scritto tra il 1911 e il 1914, rimasto incompiuto (inizialmente è pubblicato il primo capitolo come racconto con il titolo Il fochista) e intitolato Il disperso (Der Verschollene), è stampato postumo nel 1927 con il nome di Amerika da Max Brod, amico ed esecutore testamentario dello scrittore.
Primogenito di una famiglia ebraica askenazita di madrelingua tedesca della media borghesia, laureato in giurisprudenza e procuratore, Kafka partecipa alle lotte politico-sociali simpatizzando per l'anarchismo e i movimenti cechi di liberazione dal kaiser. Dedicatosi alla scrittura, connota le sue opere di un'aura di smarrimento e angoscia che tocca a latere anche Amerika, uno dei più allegri e spensierati lavori per il quale pare avesse in previsione un finale ottimistico.
Fantasiosa la storia - anche perché Kafka viaggia poco e non è mai andato in America pur evidenziandone in modo intuitivamente sagace contraddizioni e prorompente vitalità - che descrive le tribolate avventure e le sofferte peregrinazioni di Karl Rossmann ('uomo-cavallo' come scherzosamente traduce il suo cognome), un giovane ebreo boemo 'spedito' a sedici anni dalla famiglia lontano da Praga e costretto a diventare emigrante nel Nuovo Mondo per essere stato sedotto dalla cameriera (più anziana di lui) che ha dato alla luce un bambino.
Emblema dell'esule carico di sogni e speranze di ieri e di oggi, con l'America del passato che si assimila all'odierna Europa o a qualsiasi terra vagheggiata da emigranti, Karl si rivela innocente, ingenuo, credulone, onesto, inesperto, allegro, gioioso, fiducioso e capace di perdonare e finisce per lasciarsi sfuggire un'occasione 'positiva' rappresentata da un ricco zio divenuto newyorchese e totalmente privo di fantasia e di tollerante comprensione, ma disposto a fare di lui un impomatato signorino borghese. Riparte ramingo alla ventura in un mondo multiculturale, spregiudicato e ricco di opportunità con in tasca coraggio e tanta speranza di costruirsi un futuro migliore e nessun aculeo contro gli imbroglioni.
Nella multidisciplinare interpretazione scaparriana fedele al testo kafkiano - in cui le atmosfere musicali dell'epoca sono ben rese da un'orchestra di tre elementi che allieta gli spettatori con eleganti musiche ispirate alla cultura yiddish della vecchia Europa e al jazz nero di Scott Joplin (adattate da Alessandro Panatteri) e la scenografia essenziale e pratica è composta da simboliche porte-quinte che di volta in volta assumono la funzione di delimitare spazi diversi - si muovono cinque validi attori che rivestono ciascuno ruoli differenti (come il bravo Ugo Maria Morosi interprete di più voci e personaggi) intorno alla figura del protagonista, il bravissimo e convincente Giovanni Anzaldo capace di connotare il suo sfortunato personaggio di calda e simpatica umanità.
Uno spettacolo piacevole e raffinato che attenuate le oscure ombrosità kafkiane ne restituisce un gradevolissimo effetto onirico interpretandone il giovanile slancio.
Wanda Castelnuovo