Le indicazioni nella "Busta"
Un Signore riceve una busta (avete presente l'agrimensore del Castello di Kafka?), si reca in una stanza, c'è un segretario che lo accoglie con efferata gentilezza. Il Signore diffida. Cosa vuoi aspettarti da uno che ti riconosce guardando la tua carta d'identità ma a cui la tua faccia non dice niente? Esempio di teatro distopico (la distopìa è una specie di utopia negativa), La Busta di Scimone è in un futuro che sembra asettico e lontano ma che contagioso e vicino lo è già da un pezzo. Cosa fece Bradbury nel suo Fahrenheit 451 (da cui Truffaut tirò fuori un film strepitoso)? Immaginò un luogo abitato da uomini che - costretti a bruciare tutti i loro libri da uno sterilizzatore culturale - avevano imparato ciascuno a memoria un testo con cui ora si identificavano. Per non lasciarlo morire, e per non morire loro stessi. Ne La Busta non sono i libri a bruciare, ma le occupazioni. Il lettore di ieri è il lavoratore di oggi. Perfetto il cast (Spiro Scimone, Francesco Sframeli, Salvatore Arena e Nicola Rignanese), all'India fino al 31. Da vedere.
Paola Polidoro
Man mano che Spiro Scimone prosegue il suo lavoro di drammaturgia i personaggi diventano sempre più numerosi: due in Nunzio e Bar, tre ne La festa e Il cortile, quattro in questo ultimo lavoro titolato La busta che ha esordito in Portogallo, poi è apparso ad AstiTeatro e adesso è in giro per l’Italia. E se sino ad ora i referenti illustri di Scimone potevano farsi risalire a Beckett e Pinter, qui la matrice è decisamente kafkiana, come si nota sin dalle prime lampanti battute pronunciate dal personaggio denominato “un Signore”, che, con una voluminosa busta in mano, si presenta di persona al mittente senza aspettare che la risposta gli giunga per posta. Una scaletta immette in una sorta di seminterrato, sulla parete di fondo, per fattura simile ad un quadro astratto, una finestrella in alto e una porticina in basso, una sedia in miniatura di colore rosso. Il Signore chiede di poter parlare col Presidente per sapere il motivo della missiva, un curioso segretario con parrucchino seduto su una bizzarra poltrona, colto di continuo a rimirarsi narcisisticamente in specchietti posti su esili steli, gli dice che il Presidente non c’è e che può dire a lui. Succedono cose strane in questo scantinato: si odono grida di vittime torturate, un cuoco sbucato da un film di Greenaway vorrebbe far assaggiare al malcapitato carne umana e da quella porticina ecco venir fuori un tale, che carponi come un cane mangia il suo pasto da una ciotola. Schegge di violenza si fanno sempre più pressanti. Il luogo sembra il “garage Olimpo” o uno di quei tanti luoghi sudamericani dove i prigionieri venivano torturati e poi ammazzati. La democrazia sventolata dal Segretario sembra una triste dittatura e la violenza raggiungerà il suo culmine quando il Signore verrà accusato d’avere ucciso un operaio. Era questo il senso della Busta, non la ricerca della giustizia, quanto piuttosto un motivo per torturare una vittima innocente, come in un gioco sadico e purtroppo mortale. E la sorpresa sarà di scoprire che quella faccia baconiana chiusa nell’armadio è quella del Presidente giocherellone. Cinquanta minuti intensi, fulminei al punto che il pubblico del Vittorio Emanuele di Messina ha esitato ad applaudire alla fine pensando che lo spettacolo continuasse e poi infine scrosci calorosi di applausi per i bravi interpreti capitanati da Francesco Sframeli qui al suo esordio come regista e poi lo stesso Scimone, Nicola Rignanese e Salvatore Arena.
Gigi Giacobbe