di Carlo Goldoni
regia di Paolo Valerio
con Dario Cantarelli, Marcello Bartoli, Roberto Petruzzelli, Andrea De Manicor, Roberto Vandelli, Michela Mocchiutti, Marta Meneghetti e Gioia Salvatori
musiche di Antonio Di Pofi, fotografia e visual art di Mauro Fiorese e Stefano Buro, costumi di Chiara Defant, luci di Enrico Berardi
produzione del Teatro Stabile di Verona
al Ponchielli di Cremona, 18 gennaio 2011
Carlo Goldoni comme il faut, o meglio come la tradizione l'ha consegnato alle voglie degli attori e all'immaginario degli spettatori. O si decide di leggere Goldoni nelle pieghe proto-borghesi di quei caratteri in procinto di farsi personaggi o si rischia di farne una cartolina agiografica e un po' carnevalesca. Il bugiardo frequenta questa seconda opzione, scelta legata anche alle genesi dello spettacolo: pensato per l'estiva e per il teatro Romano di Verona, conteso che impone il massimo del disimpegno e la leggerezza come obbligo per non scontentare i turisti lacustri e il pubblico agostano. La scelta del regista Paolo Valerio va nella direzione del Goldoni che t'aspetti: quello delle moine, delle caricature, della Commedia dell'Arte che fa il verso a se stessa. Eppure quella parete di specchi che riflette immagini patinate di Venezia (quanta banalità in quelle foto!) non è priva di fascino nel suo moltiplicare le figure degli attori come si moltiplicano fino al parossismo le 'spiritose invenzioni' di Lelio, il bugiardo della commedia che non esita a dirle grosse, solo per il gusto di ingannare e alla fine ingannarsi. Lelio non si limita a raccontar balle agli altri, ma recita la parte anche davanti al padre Pantalone che l'ha spedito ragazzino a Napoli e stenta a riconoscerlo. Pantalone è esponente di quell'umanità di mercanti che viaggiano per la penisola come oggi si viaggia per il mondo, un'umanità che si affida all'etica del denaro per dirimere ogni tipo di questione, anche quelle matrimoniali. Non è un caso, dunque, che Pantalone elogi il figlio ritrovato e sia pronto a mettere da parte il contratto matrimoniale appena stipulato col Dottore quando apprende che il figlio, pur di nascosto dall'autorità paterna, ha sposato una ricca gentildonna di Napoli... Peccato che anche questa sia una bugia di un incontenibile Lelio che alla fine sarà vittima di se stesso e avvertirà il peso delle falsità quando l'amore per Rosaura lo spingerà a svelarsi e forse a pentirsi, salvo poi lasciare il dubbio nella scena finale che apre nuove possibilità a quel Lelio un po' mefistofelico, unico guizzo di originalità dell'allestimento. Il bugiardo di Paolo Valerio non guarda alle sfumature ma preferisce frequentare le tinte forti della caricatura, della maschera appunto e dimostra un'assenza di pensiero registico, una non volontà di leggere fra le righe la grandezza di Goldoni per limitarsi a restituire al pubblico tutti i cliché di certa maniera goldoniana di un teatro amatoriale. In un cast disomogeneo spiccano per intensità e soprattutto sintonia Dario Cantarelli, un Lelio che potrebbe essere sulfureo e intelligentemente inquietante, e Marcello Bartoli che sa essere Arlecchino e Pantalone con credibilità, piegando la tradizione e le parole ad un senso interpretativo che non appare mai di maniera. La parte più intensa dello spettacolo è la scena — alla fine della prima parte — che vede Lelio ingannare il padre con la storia del finto matrimonio napoletano. In questo momento si è ritrovata la coppia Cantarelli-Bartoli dei migliori Fratellini. Per il resto gli attori e lo spettacolo oscillano fra la caricatura (piace al pubblico il dottore pugliese di Roberto Petruzzelli che sembra occhieggiare a Lino Banfi) e la maniera, prigionieri di una grammatica degli stereotipi goldoniani a cui assolvono Andrea De Manicor, Roberto Vandelli, Michela Mocchiutti, Marta Meneghetti e Gioia Salvatori. Il bugiardo è l'esempio di un teatro di maniera che butta via le potenzialità del gruppo storico dei Fratellini e ammicca al pubblico tradendo lo spirito del drammaturgo veneziano già indirizzato verso uno stile realistico e qui ancora ancorato alla maniera dei comici dell'arte. Per dovere di cronaca si dica che Il bugiardo del metteur en scène Paolo Valerio al pubblico piace perché in esso ritrova i birignao e le ovvietà del teatro di consumo che non impone nuovi scenari ma si rafforza nel proporre ciò che il pubblico s'attende. Peccato, ma una riflessione sull'estetica del teatro s'impone.
Nicola Arrigoni