Di Simone Corso
Con Antonio Alveario e Simone Corso
Regia Roberto Bonaventura
Architetture di carta Nunzio Laganà
Disegno luci Stefano Barbagallo
Realizzazione elementi scenici Franco Currò
Produzione Nutrimenti Terrestri
ai Magazzini del Sale di Messina per conto del Teatro dei Naviganti
Dal 18 al 19 marzo 2017
Quello tra padre-figlio è un rapporto strano. Spesso fatto di silenzi, di sguardi, di mezze parole, forse perché si ha paura o pudore di esprimere appieno i propri sentimenti. In particolare, questo accade, quando nel sacro triangolo, padre-figlio-madre, viene a mancare quest'ultimo anello fondamentale che costituisce di fatto una famiglia. Potrà succedere che le due figure maschili, pur solidarizzando e volendosi bene, cercheranno dei motivi per starsene ognuno nel proprio angolo, diventando quasi dei rivali, come suggerisce Freud, sentendosi il figlio libero solo quando potrà "uccidere" il padre (in senso metaforico) per costruire poi un mondo nuovo, forse migliore, contando su una probabile superiorità intellettuale e nient'altro. E' quanto succede in parte nella breve e fulminea pièce di esordio di Simone Corso titolata Acquaviola, (cui ha fatto seguito Vinafausa, in morte di Attilio Manca, che i lettori di Sipario potranno leggere sul portale della rivista) andata in scena nei Magazzini del Sale di Messina per conto del Teatro dei Naviganti con la coinvolgente regia di Roberto Bonaventura. Acquaviola è il nome fantasioso d'una via di Milazzo, dove in una modesta casa abitano un padre, cui dà vita Antonio Alveario che ha il dono nel profferire verbo di suscitare ilarità e drammaticità - d'altronde dieci anni di teatro accanto a Leo De Berardinis saranno pure serviti a qualcosa - che vive con la pensione maturata dopo trent'anni di lavoro nella vicina raffineria di idrocarburi con il figlio Paolo (lo stesso Corso invero un po' legnosetto, ma lui non se ne duole più di tanto) cui manca un mese per convolare a nozze con una ragazza di nome Caterina. Il padre si diletta a costruire il modellino dell'Amerigo Vespucci, sintetizzato qui da bianchi velieri di carta di varie grandezze, architettati da Nunzio Laganà in collaborazione con Franco Currò, contandone almeno sei sulla piccola scena, simili a quelli che si approntavano alle elementari con dei semplici fogli di quaderno. E pur manifestandogli un grande affetto ha sempre qualcosa da rimproverargli, sia che l'argomento riguardi il numero dei partecipanti al matrimonio e la foggia delle bomboniere, sia quando invitato dai futuri consuoceri a pranzo o a cena preferirà, brontolando, restarsene a casa rinunciando a gustare i carciofi ripieni che pure ama alla follia. Il tempo passa, una luce rossa s'accende più volte in contemporanea al suono fastidioso d'una sirena della vicina raffineria, nello spazio echeggia la canzone It's now or never (O sole mio) di Elvis Presley e il discorso tra padre e figlio ri-cade sui motivi della morte della madre provocata da un tumore all'utero, lo stesso male diagnosticato intanto alla futura suocera di Paolo. Il quale inutilmente esorterà il padre a vendere la casa, andare lontano da quelle nubi tossiche, perché rimanendo in quel luogo ci sono buone probabilità d'ammalarsi mortalmente. Il padre ha una reazione di fuoco non potendo sputare nel piatto dove lui e la sua famiglia ha mangiato tutta la vita, cercherà con scarse argomentazioni di sminuire i pericoli per lui inesistenti, mollando ad un tratto al figlio un sonoro ceffone, ma ormai il dado è tratto. Andrà via lasciando attonito e senza parole il padre.
Gigi Giacobbe