di Annibale Ruccello
con Ernesto Lama e Elisabetta D'Acunzo
scene di Mauro Rea
disegno luci di Nino Perrella
costumi di Nunzia Russo
assistenza musicale di Salvatore Cardone
regia di Peppe Miale
produzione Le Pecore Nere
Napoli, Teatro Elicantropo dal 20 al 23 aprile 2017
Una Jennifer che non si sente donna e non trasmette, di conseguenza, la propria femminilità; che non sa ballare, muovere le mani, né cantare Patty Pravo o Mina. Una Jennifer che è solo parodia, caricatura, macchietta; che rispondendo al telefono ricorda Troisi, non Raffaella Carrà.
Le cinque rose di Jennifer, al teatro Elicantropo di Napoli per la regia di Peppe Miale, ha un effetto straniante: il capolavoro del compianto Annibale Ruccello, interpretato da Ernesto Lama e Elisabetta D'Acunzo, disorienta. Jennifer non è più lei: il travestito, il femminiello, la cui vita è appesa al filo del telefono (un viaggio tra le onde medie di Radio Amore) è troppo maschio per sembrare credibile. Non un'eroina alla Anche i ricchi piangono (telenovela particolarmente amata da Ruccello), ma un figuro da cabaret.
Ernesto Lama canta bene, con trasporto, brani del repertorio classico napoletano, ma si perde sui cavalli di battaglia di Jennifer: le note di Mina, Patty Pravo e Ornella Vanoni. La protagonista di Annibale Ruccello è ironica e divertente: fa ridere, ma non solo; il personaggio non si esaurisce nella sua comicità.
La storia del travestito che fa la vita, attendendo il ritorno del fantomatico fidanzato di nome Franco, è buffa ma anche tensiva. Il quartiere dei femminielli, dove i telefoni funzionano male causando interferenze e un killer misterioso semina il panico, è grottesca e nel contempo malinconica. Vera protagonista è la solitudine, il senso di abbandono che non attanaglia la sola protagonista, ma tutti quelli che vivono la sua condizione.
Lo stesso autore, Annibale Ruccello, di notte si travestiva inseguendo amori rapidi come nuvole lungo il litorale stabiese (Castellammare di Stabia): non certo per necessità economica, come nel caso di Jennifer, ma per appagare una sete di avventura e sentimento.
Anche la scelta di affidare il ruolo di Anna – l'altro personaggio della pièce – a una donna anziché a un travestito appare deviante. L'alter ego di Jennifer, l'inquietante testimone di Geova morbosamente attaccata alla sua gatta Rosinella, che vive il medesimo, disperante stato di alienazione nel quartiere ghetto.
Il finale è, naturalmente, drammatico, ma il percorso forse confonde. Un'ultima annotazione: il giorno in cui l'entourage di una compagnia (di un regista, o di un attore) tra il pubblico smetterà di ridere forzatamente, ad ogni battuta, sarà un giorno senza cadute di stile.
Giovanni Luca Montanino