testo e regia Francesco Michele Laterza
con Francesco Michele Laterza e Floor Robert
disegno luci Adriana Renna
tecnica Letizia Paternieri
foto Regina Del Toro
coproduzione Teatro delle Moire/Danae Festival con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia
(un progetto di Circuito CLAPS e Teatro delle Moire, Industria Scenica, Milano Musica, ZONA K) e di Ass. Punto a Capo Calolziocorte, Lecco
Stagione 2021/2022
Spazio Rossellini – Roma 24 Novembre 2021
In Italia vige lo stereotipo che l’improvvisazione è l’arte di poter fare, indiscriminatamente, ciò che si vuole sul palcoscenico. Equivoco che viene da una visione distorta della commedia dell’arte, dove non si avevano copioni con battute belle che pronte. Ma, come hanno dimostrato gli studi di Roberto Tessari, i comici dell’arte non ne erano del tutto sprovvisti di battute. Essi avevano un ricco repertorio di battute e situazioni raccolte in ciò che chiamavano zibaldoni, e che adattavano secondo il canovaccio che si rappresentava e in base alle concomitanze sceniche che emergevano al momento. Sicché ciò che si chiama improvvisazione non è anarchia allo stato puro, ma capacità combinatoria secondo logica e, come è ovvio, esperienza.
Riflessioni sorte alla mente appena usciti dallo Spazio Rossellini di Roma dove è andato in scena uno spettacolo di musica e danza dal titolo Concerto. Nel programma di sala è scritto che il testo e la regia sono di Francesco Michele Laterza. E poi, nelle note di presentazione, si afferma che si tratta di uno spettacolo che ha per oggetto il concerto dell’immaginazione, dove dei sogni trascritti sono stati trasformati in “canzoni originali o materiali performativi con l’idea di costruire un coro di forze, voci e immagini ai limiti del paradosso che dialogano all’interno di un assurdo concerto in perpetuo mutamento”.
In sostanza, una rappresentazione all’insegna dell’improvvisazione, per meglio dire del suo equivoco. Perché, com’è risaputo, la commedia dell’arte improvvisava attorno a trame ben definite – i canovacci. Concerto, in realtà, non ha nessuna storia a legare i vari materiali proposti al pubblico. L’autore si appella, almeno nelle intenzioni, all’assurdo, forse pensando a Ionesco o a Beckett. Ma l’assurdo di quest’ultimi non era assenza di ragione o di storia, bensì rappresentazione dell’ipocrisia di un certo presente in un determinato contesto.
Lo spettacolo di Francesco Michele Laterza si è presentato come un insieme di materiali gettati in scena a casaccio, senza alcuna connessione o continuità: una riunione scolastica con un maestro che di continuo richiamava ordine e disciplina; una canzone improvvisata; un duetto coreografico ai limiti del paradosso dove, a un certo punto, Laterza si è messo a rifare il verso a un noto personaggio di Carlo Verdone, il figlio di casa ingenuo che cade dalle nuvole qualsiasi cosa gli capiti. Ogni sogno, o visione che traeva ispirazione dall’esperienza onirica, era scandita da un suono di campane tubolari.
Si insiste sul tema dell’improvvisazione perché tanto Laterza che Floor Robert, nelle loro varie performance, davano l’idea di sperimentare quale situazione scenica potesse meglio catturare l’attenzione del pubblico. Una volta individuata, insistevano su quella, magari variandola di poco. Ciò che, innegabilmente, creava una certa simpatia fra attori e platea.
Ci si chiede: quale il senso di tali operazioni? Un dilemma difficile da sciogliere. E poi: è, tutto questo, teatro?
Pierluigi Pietricola