ideazione, coreografia e scenografia Gisèle Vienne
con l’aiuto di Anja Röttgerkamp e Nuria Guiu Sagarra
luci Patrick Riou
drammaturgia Gisèle Vienne e Denis Cooper
selezioni musicali a cura di Underground Resistance, KTL, Vapour Space
DJ Rolando, Drexciya, The Martian, Choice, Jeff Mills, Peter Rehberg
Manuel Göttsching, Sun Electric e Global Communication
selezione della playlist a cura di Peter Rehberg
responsabile del sound diffusion Stephen O’Malley
performer Lucas Bassereau, Philip Berlin, Marine Chesnais, Sylvain Decloitre, Sophie Demeyer,
Vincent Dupuy, Rehin Hollant, Georges Labbat, Theo Livesey, Maya Masse, Katia Petrowick,
Linn Ragnarsson, Jonathan Schatz, Henrietta Wallberg in alternanza con Morgane Bonis e Tyra Wigg
Roma – Teatro Argentina 17 – 18 settembre 2022
In breve, l’arte contemporanea si può così riassumere: un contenuto senza forma. Non a caso si è accostato l’attributo “concettuale” a questa forma di creazione. Proprio perché è l’idea, più che l’immagine, a dover prevalere.
Ma a voler approfondire, idea e immagine non possono separarsi in termini così netti. Proprio perché eidos sta per forma e aspetto. E quindi un contenuto, per essere offerto al pubblico e successivamente interpretato, mai può dissociarsi dall’espressione. L’uno e l’altra debbono procedere a braccetto, senza che vi sia prevalenza, ma in modo parallelo senza mai scomporsi.
Riflessioni che sorgono spontaneamente dopo aver assistito al balletto contemporaneo Crowd, in scena all’Argentina di Roma. Su un palco privo di scenografia, al calare delle luci in platea, ecco partire una musica a metà fra lo stile puramente ritmico e quello elettronico. Stesse cadenze, nessuna linea melodica. Semplice ripetizione di temi abbozzati e privi di sviluppo. Su queste note entrano, lentamente, dalla comune alla sinistra del pubblico, i vari ballerini uno alla volta. Guadagnato il centro del palco, iniziano a muoversi in maniera sincopata, disegnando coreografie sghembe, prive di una certa sinuosità, d’una qualche armonia e perché no? anche di una piacevolezza che fa bene al corpo e allo spirito di chi assiste.
Luci che sembrano psichedeliche, musiche che man mano che lo spettacolo procede tendono ad annullare consapevolezza nell’individuo, ballerini che a tratti inscenano anche rapporti omosessuali rappresentando solo l’aspetto carnale e bestiale d’un rapporto che, a prescindere dal lato erotico, dovrebbe comunque apparire dolce e discreto.
Gran finale: drogati, ebbri, vagamente aggressivi, i vari ballerini pian piano escono di scena, sempre con movenze sincopate. Tranne due ragazze che restano al centro del palco fintanto che le luci si spengono.
Da uno spettacolo così che se ne può trarre, concentrandosi solo sulla forma? Ascoltando di sfuggita alcuni spettatori mentre si guadagnava l’uscita dal teatro: “Hanno rappresentato un sabba”, “Forse è stata una rievocazione di fantasmi”, “Si è voluto inscenare il simbolo dell’uomo odierno: robotizzato e privo di personalità e d’un’anima”.
Effettivamente, quanto visto non respinge queste varie interpretazioni.
Leggendo le note dello spettacolo, ecco di cosa si trattava: “Crowd è la rappresentazione di un rituale: quello della festa, fatto sociale totale… La festa… è un rave party: attraverso posture, attitudini, gestualità, i corpi in movimento rievocano la memoria antica di fenomeni di trance, baccanali e tarantelle nel presente dell’azione”.
In che modo la forma ha veicolato questo contenuto? Semmai glielo si è attribuito. Ma questo rende il lato formale arbitrario se non ininfluente.
Da qui l’assenza di carica interpretativa in Crowd: perfetto sotto il profilo tecnico e coreografico, ma privo d’anima.
L’arte vera esprime anima. Per esprimere anima, forma e contenuto debbono sempre inverarsi l’una nell’altro.
Pierluigi Pietricola