Maestro Arthur Nauzyciel
allievi Gwendal Anglade Francia, Luca Carboni Italia, Julie Chaubard Francia, Ana Cloe Portogallo, Antoine de la Roche Francia, Alice Hubball Belgio, Gaia Insenga Italia, Anabel Lopez Belgio, Aurora Peres Italia
Terence Rion Belgio, Elmano Sancho Portogallo, Rodrigo Sousa Machado Portogallo
scene e luci Giulio Lichtner, musicista Eric Slabiak, diarista Matteo Alì
Teatro Valle di Roma
per la XVIII edizione della Nouvelle Ecole des Maitres 2 settembre 2009
Ibsen, un palcoscenico trasformato in platea e l’estro di un regista. Benvenuti al Teatro Valle di Roma, per una rappresentazione molto speciale di Casa di bambola firmata Arthur Nauzyciel. Viaggio affascinante dentro un piccolo capolavoro drammaturgico che, in occasione della dimostrazione finale della ottava Nouvelle Ecole des Maitres diretta da Franco Quadri, viene restituito alla sua complessità stilistica attraverso una lingua “altra”: l’inglese. Quella più convenzionale e proprio per questo più vergine per esplorarne suoni, significati, accenti, messa al servizio del testo teatrale. Attori come simulacri, personaggi non-personaggi, corpi fisici che, in una sola persona, sono maschio e femmina, ovvero uno e tutti gli altri protagonisti dell’opera. Inglese come una “maschera”, diaframma tra la drammaturgia e il personaggio che fa scomparire l’individuo per dare voce unicamente al testo del grande autore norvegese. Recitazione che non lascia posto a intimismo e psicologia, puro strumento per dare esistenza alla “parola”.
Si cammina nel corridoio interno del teatro per arrivare direttamente sul palcoscenico, seduti in una improvvisata platea, proprio nel cuore del proscenio. Eccoci davanti pannelli laminati di plastica, ora trasparenti ora coprenti, attraverso un gioco sofisticato di illuminazione, posti come facce di un quadrato che contiene scena e attori. Lo spazio fisico della parola, non chiuso, aperto, senza che si possa mai dare una definizione precisa di ciò che custodisce al suo interno. Ora a mascherare, ora a manifestare dettagli di personaggi che così vengono definiti solo da ciò che dicono, in questo modo vivificati: è la parola a dare loro un’identità, che dunque non ha volto preciso, non ha sesso, non ha età. Arthur Nauzyciel, talento molto attivo in Europa, Stati Uniti e paesi nordici – dal 2007 direttore del Centre Dramatique National Orleans/Loiret/Ce – spoglia la rappresentazione e offre l’essenza del testo, restituendone la musica della lingua, il ritmo e l’ironia di un’opera difficile, destinata cambiare il corso della storia del teatro durante la seconda metà dell’Ottocento. Grande scrittura di Ibsen, che scandaglia il rapporto uomo-donna attraverso la messa a nudo di un matrimonio borghese falsamente “felice” e ben ordinato, in verità contaminato da quotidiane menzogne e rassicuranti quanto inesatte certezze. La storia di una donna che scopre all’improvviso, come una illuminante ferita, l’estraneità del suo compagno di vita, padre dei suoi figli, e l’impossibilità di portare avanti anche un giorno, una notte di più, un’unione basata sul nulla.
Per il suo Casa di bambola il regista francese sfronda la messinscena di qualsiasi disturbante sovrastruttura, sia da un punto di vista scenografico sia interpretativo. Il duello verbale tra Nora e Torvald, scandito dalla lentezza asfissiante e incalzante della scrittura di Ibsen, diviene accenti acuti, note, sussurri, scoppi di risate, quasi a inseguire il rumore delle consonanti della lingua inglese.
Siamo sul palcoscenico, insieme agli attori, a invadere lo spazio sacro del teatro. Il pubblico ascolta rapito, non sempre capendo il testo, avvinto e vinto, quale silenzioso testimone di una cerimonia. Ogni attore è un personaggio ma dopo ne diventerà un altro. Uno scambio che non è mai confusione perché gli interpreti precedenti seguono il nuovo restandogli accanto come mute presenze. Così il regista mette l’accento su una pièce che gioca sulle apparenze, sul sottile confine tra verità e falsità, tra certezza e ambiguità.
Lo seguono in questa affascinante strada l’ensemble di giovanissimi attori che, nella migliore tradizione dell’Ecole des Maitres, provengono da ogni parte del mondo, quest’anno da Francia, Italia, Portogallo e Belgio. Li citiamo tutti: Luca Carboni (versatile e irriverente), Gaia Insegna (ironica e duttile), Antoine de la Roche, Ana Cloe Paulino (stupenda pronuncia inglese e grande presenza scenica), Anabel Lopez (bellezza che ipnotizza, sguardo profondo e straziante umanità); Alice Hubbal (volto di ghiaccio e sensibilità estrema nascosta dietro movenze quasi mascoline), Elmano Sancho, Aurora Peres (espressiva ma poco adatta nella pronuncia inglese), Rodrigo Sousa Machado, Gwendal Anglade, Terence Rion, Julie Chaubard.
Un gruppo molto affiatato, tutti molto preparati e convincenti. Unica pecca dello spettacolo la pronuncia a volte poco sicura e a tratti quasi oscura della lingua inglese, a detrimento della parola del testo che in questo modo rischia di perdersi senza essere compresa e valorizzata.
Flavia Bruni