al Palazzo dei Congressi di Taormina (ME)
testo di: Andrea Genovese
regia: Gianni Fortunato Pisani
con: Gianfranco Quero e Francesca Andò
Taormina 2008
TAORMINA (gi.gi.).- Conosco Andrea Genovese da dopo che s’è trasferito a Lione nel 1981 e pur avendo letto le sue raccolte di poesie, in dialetto e in lingua, alcuni suoi testi teatrali e i recenti romanzi autobiografici sulla sua Messina “giostrata” ( dal rione “Giostra” dove abitava da ragazzo) post-bellica, sconoscevo il suo interesse per l’astronomia. Interesse evidentemente che gli ha consentito di scrivere in francese con particolari siderali una raffinata pièce titolata La queue de l’oie ovvero La coda dell’oca, che per i profani è il nome dato dagli astronomi arabi a Deneb, una delle più luminescenti stelle della Via Lattea che alla lettera significa “la coda della costellazione del Cigno”. Il lavoro è già stato rappresentato in Francia nel 1990, è stato pure oggetto d’una creazione radiofonica di France Culture l’anno successivo e adesso è andato in scena al Palacongressi inserita da Pompeo Oliva nel programma teatrale di Taormina Arte. La messinscena è stata curata con molto fair play da Gianni Fortunato Pisani, mentre le belle luci sono di Renzo Di Chio, e ha per protagonisti un astronomo sessantenne e una Lolita di sedici anni: i quali danno vita accanto ad una baracchetta in fuga sulla spiaggia del mare, qui raffigurata, nella scena di Francesca Cannavò (suoi pure i costumi) da un parquet di legno con i colori della sabbia e avvertibile con i rumori della risacca, ad un dialogo serrato sulle più umane e disparate cose. Lui si chiama Mandrin che suona come Mandrillo, di nome e di fatto, si trova lì perché deve fotografare la pioggia delle stelle Perseidi, lei, di nome Laura, è figlia d’una vicina di casa che se ne va in giro farfaleggiando in bikini. Fra i due si crea un curioso rapporto che alle prime potrebbe somigliare a quello d’un satiro che vuole possedere la sua pecorella, poi man mano che lui le parla del significato delle stelle (“spiegare l’astronomia a una ragazza è come scriverle dei sonetti”) citandole Petrarca, Claudel, Baudelaire, si smonta quell’impalcatura libidica e il luogo si tinge d’incanto e di magia, come se quei due corpi accanto ad un telescopio fossero gli unici sopravvissuti d’una “nube purpurea” che s’è posata sul pianeta Terra. Gianfranco Quero nel ruolo dell’astronomo è pressoché perfetto, non solo per età e fattezze fisiche ma anche per come riesce a comunicare al pubblico il mistero della vita e dell’universo, mentre Francesca Andò, cui tocca forse la parte più difficile, a metà fra oggetto del desiderio e giovane allieva che incassa, assorbe e respinge le profferte più o meno allusive del “vecchio porco”, può fare ancora meglio perché ne ha la stoffa. Sessanta minuti serrati e alla fine applausi calorosi.
Gigi Giacobbe