di Carlo Goldoni
traduzione francese: Ginette Herry e Valeria Tasca
regia: Jacques Lassalle
scene: Antonio Fiorentino, costumi: Renato Bianchi, luci: Franck Thévenon
musiche originali: Jean-Charles Capon, coreografia: Jean-Marc Hoolbecq
con Christine Fersen, Catherine Hiegel, Claude Mathieu, Michel Favory, Anne Kessler, Denis Podalydès, Jérôme Pouly, Julie Sicard, Léonie Simaga, Grégory Gadebois, Thomas Blanchard
e con Marion Picard, Louis Salkind, Dominique Compagnon, Philippe Gouinguenet
Milano, Teatro Strehler, dal 24 al 27 maggio 2007
Il campiello di Jacques Lassalle è un omaggio alla tradizione del teatro all’italiana, reso dalla massima istituzione scenica francese la Comédie française. Verrebbe voglia di dire che Jacques Lassalle mostra con grande onestà intellettuale e chiarezza di lettura come si possa mettere in scena un classico senza abdicare al ruolo di regista e al tempo stesso facendo risaltare il sapore del testo, evidenziando ciò che quella scrittura dice di noi, dice della natura umana, oltrepassando il tempo e connotandosi come ‘classico’. In questo senso Il campiello di Lassalle non solo è un omaggio ai 300 anni dalla nascita di Goldoni, ma è lo sguardo amorevole di un regista d’oltralpe su Venezia e sul mondo a tratti crudele del campiello che Goldoni ritrae dando voce al popolino, senza gusto folclorico ma con l’attenta osservazione del raisonnerur.
Il campiello è innanzitutto una microcomunità in cui gli esclusi sono Gasparina e lo zio Fabrizio, il Cavaliere che viene da Napoli, esclusi sì ma innamorati di quel mondo a tal punto che il loro addio è uno straziante inno d’amore a quella Venezia che Goldoni lascerà di lì a poco per Parigi. Il campiello è un mondo in cui i meccanismi di relazione hanno in primo piano la difesa della propria identità, in cui la fame la fa da padrona, la diffidenza nei confronti di chi viene da fuori traspare da quello stare alla finestra delle donne cui è impedito scendere in campo, oppure quello sbirciare dalle imposte che è al tempo stesso una citazione dai dipinti del Veronese, ma anche un aspetto ricorrente nelle comunità piccole che dai bastioni domestici osservano ciò che accade in piazza sempre con diffidenza e un po’ di timore. Jacques Lassalle e i suoi splendidi attori raccontano questo, lo mostrano con elegante semplicità che nei canoni delle regole del teatro di tradizione finisce con l’emozionare lo sguardo dello spettatore.
All’aprirsi del sipario le case del campiello sono in fila davanti agli occhi dello spettatore, i personaggi compaiono da quelle finestre che sono l’avamposto sul mondo, i colori sono quelli di una Venezia invernale, presi in prestito dai quadri di Longhi e Veronese. Ed è proprio la raffinatezza dell’allestimento, la coralità delle prove d’attore, i piccoli particolari di azioni sceniche che si costruiscono sui dettagli (l’affacciarsi alla finestra dell’oste, l’ingresso dei musicisti ciechi, le baruffe fra le novizie, il rischio che la generosità filantropica del Cavaliere faccia esplodere le tensioni interne al campiello) che contribuiscono a fare dell’opera di Jacques Lassalle uno spettacolo che si gode dall’inizio alla fine per la compattezza recitativa della compagnia, per la chiarezza della lettura registica che fa vivere sulla scena il mondo di Goldoni senza stereotipi, ma neppure sentendosi in dovere di intromettersi nel disegno perfetto e vivo che il testo regala alla lettura attenta del regista e alla disponibilità ad essere tramiti corporei di emozioni degli attori. L’esito è mirabile e commovente e scioglie il pubblico in un caloroso applauso.
Nicola Arrigoni
Al teatro Strehler di Milano la famosa Comédie Française ha messo in scena un grande omaggio a Carlo Goldoni
Ragazze in fiore e vecchie che ancora non vogliono rinunciare all'amore. Baruffe, pettegolezzi, tenerezze, una forte vena popolaresca e realistica, il piacere di intrecciare situazioni quotidiane. Insomma la vita quotidiana di una piccola comunità come la vede, la fotografa Goldoni ne Il campiello. Lavoro sul quale la critica si è sempre divisa se mettere o no tra i capolavori. Opera, questa commedia corale ,dove il vero protagonista a vedere è, fra ingenuità e crudeltà, l'amore, testo magari minore per la sua struttura, per una vicinanza al bozzettismo, e però splendido per la sua luminosità struggente, la precisione acuminata di ogni dettaglio psicologico e linguistico.
Caratteristiche che ben emergono anche in questa sentita, significativa messinscena in lingua francese che , firmata da Jacques Lassalle, nome di alto prestigio, ci arriva (occasione da sfruttare dato che la storica compagnia francese mancava da tempo dall'Italia) dalla Comédie Francaise. Sulla scena dello Strehler nell'ambito del Festival dei Teatri d'Europa e per onorare il Grande Veneziano nel tricentenario della nascita.
Grande innamorato di Goldoni, come provano molti suoi allestimenti precedenti, Lassalle dà vita ad un allestimento singolare e solido, forse un po' lento nel ritmo ma che nulla viene a togliere alla densità umorale del testo. Uno spettacolo che decisamente punta sul minimalismo e dove è vero lo spirito goldoniano in parte svanisce e trova spazio invece un'atmosfera alquanto nordica, algida, brumosa (già implicita nella slavato "campiello" dello scenografo Antonio Fiorentino). Più che a Venezia par di essere a Ostenda o a Bruges.Ma questo forse per accentuare la poetica metafora sulle piccole "verità" racchiuse nello spazio morale di una piccola comunita popolare che va in cerca della sua povera felicità. Quella piccola comunità che a far rivivere è un superbo, omogeneo, perfettamente orchestrato cast di attori quali sono i "societaires" della famosa "maison de Molière".
Domenico Rigotti
Il campiello veneziano è un punto nel mondo dove donne e uomini, gente del popolo e gente in attesa di una sorte migliore, vivono nel piccolo cabotaggio della vita, riempiendo lo scorrere delle ore di parole, litigi, poveri giochi, pettegolezzi, minacce, risse, allegria. Accanto al popolo vivono gli «stranieri», napoletani, toscani, seminobili, nobili e borghesi. E alla fine il campiello li spingerà ad andarsene: quello è il regno dei popolani e tale resterà, così il Cavaliere, squattrinato ma generoso, dopo aver offerto a tutti una festa, partirà con la sua promessa sposa «seminobile» e il ricco zio di lei e il campiello continuerà la sua vita, tra matrimoni di giovani e i desideri d' amore di vecchie indomite. Una commedia popolare nel senso profondo, pervasa da un certo «minimalismo» narrativo espresso da Goldoni nella fluidità recitativa degli endecasillabi e dei settenari. Un grande affresco di una società dove alla fine nessuno si salva, i borghesi sono spocchiosi, i nobili decaduti, i popolani rissosi e violenti. E questa umanità viene dipinta con classe nella messinscena della Comédie Française con la regia di Jacques Lassalle e la traduzione «verso a verso» di Ginette Herry e Valeria Tasca. Uno spettacolo arguto in un carnevale senza maschere, in uno scorrere del tempo riempito da una minuta quotidianità e recitato da bravi attori quali Christine Fersen, Anne Kessler, Julie Sicard, Léonie Simaga, Denise Podalydès. Un campiello grigio e sotto la neve, dall' umanità rissosa e chiassosa in un giorno toccato da una felicità breve, anch' essa rumorosa e sguaiata prima di ripiombare nella vita di tutti i giorni con altri giovani che si sposeranno, vecchie sempre indomabili e forestieri da «usare» per soddisfare sogni pantagruelici. Una regia intelligente e pungente per uno spettacolo, per dirla con Goldoni, «schermo e disvelatore del vero, forma e misura dell' uomo». IL CAMPIELLO di Goldoni, Teatro Strehler, fino a domani
Magda Poli