da Molière, Da Ponte, Mozart
Adattamento e regia Arturo Cirillo
con Arturo Cirillo e con Irene Ciani, Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli, Giulia Trippetta, Giacomo Vigentini
Scene Dario Gessati, costumi Gianluca Falaschi, musiche Mario Autore, luci Paolo Manti
Produzione Teatro Nazionale di Genova, Marche Teatro, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale Emilia Romagna Teatro / ERT Teatro Nazionale.
Al teatro Ivo Chiesa di Genova da 14 a 19 gennaio. Visto alla prima del 14 gennaio 2025
Arturo Cirillo e (è) Don Giovanni Arturo Cirillo, con questa sua scrittura scenica dalle plurime ascendenze, cerca io credo la 'musica' del sempiterno Don Giovanni, entrato la prima volta in scena ne L'ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra dello spagnolo Tirso de Molina, ma non tanto o soltanto quella immortale di Mozart che pure l'accompagna, quanto quella che si sprigiona nell'incontro/scontro, nell'attrito tra lo slancio lirico del verso di Da Ponte e la materica gravità della parola drammaturgica del tragico 'commediante' Molière. Nel sottofondo controscenico è dunque lui e siamo noi ad essere messi in causa, o se vogliamo alla 'berlina', perché la fabula estetica alla fine riguarda (guardandolo) il metafisico e filosofico (con le sue ovvie ricadute religiose) 'libero arbitrio', che sembra non esserci stato liberalmente e felicemente 'donato', ma bensì imposto quasi come la condanna che ci accompagna dall'attimo della cacciata dal 'Paradiso'. Così il banale peccatore Don Giovanni può trasformarsi, e si trasforma, nel 'tragico' e anche sacrificale Don Giovanni quando, sorta di nostro 'capro espiatorio', rifiuta di pentirsi e, caricandosi della colpa anche per conto collettivo, precipita in un qualunque inferno, sia quello delle soffocanti 'bolge' o sia quello, ancor più doloroso forse, della mente. Nella costruzione di Cirillo, che come detto assembla due e più sintassi e i linguaggi conseguenti, il transito scenico può diventare dunque un accogliente contenitore in cui precipitano innumerevoli suggestioni, storiche e metafisiche come detto, o sociali (per il doppio vincolo di Molière stretto tra l'alto della élite di corte e il basso del popolo delle fiere e delle piazze), ma anche psicologiche e personali, o latamente biografiche, di quella biografia che, junghianamente, condivividiamo ma che soggettivamente e singolarmente 'viviamo'. A partire innanzitutto, ma via via discendendo non solo, dal freudiano e superegoico rapporto con il Padre (Dio e Patriarca), fonte di una morale che incombe e si stringe sul nostro desiderio, sulle pulsioni anche edipiche che inconscie (ma non sempre e non troppo) ci assediano, ribelli, nel profondo. Ma se vogliamo non è soltanto una questione stilistica quella svelata nella 'confusione' (in senso positivo ovviamente) attuata da Cirillo tra Mozart/Da Ponte e Molière, è anche questione esistenziale, ovvero esistenzialistica, mostrando in fondo il ribaltamento di Don Juan da sedotto dalla vita, che sempre innamorato propone ripetuti matrimoni, (Molière) a seduttore incallito (Mozart) che quasi anticipa il marchese De Sade, un ribaltamento quale quello indagato dal Søren Kierkegaard dell'angoscia e della disperazione, tra estetica (Diario di un seduttore) ed etica (Il buon marito), un ribaltamento 'omologante' qui solo proposto e contrapposto, capace quindi di generare soprattutto malinconia. Ed in effetti il Don Giovanni di Cirillo, e anche il suo alter ego Sganarello, è venato di malinconia e di tristezza mai veramente dissipata, neanche nei momenti più da Commedia dell'Arte quali l'esilarante colloquio con il povero creditore Signor Quaresima (Rosario Giglio nei panni anche del Commendatore). Lo spettacolo ne è dunque segnato ben prima del tragico epilogo, cui le continue seduzioni non riescono mai a veramente opporsi, mentre le diadi identitarie, padre e figlio, assassino e assassinato, sedotto e seduttore si sovrappongono sul precipizio. Ne fa fede l'ambientazione prevalentemente umbratile, nella bella scenografia mobile di Dario Gessati e nelle luci oscurate di Paolo Manti, se non notturna, in cui ancor più spiccano a volte i luminosi colori delle maschere della commedia (dell'arte) molieriana (belli i costumi creati da Gianluca Falaschi). Dentro di essa, ed in un ambiente musicale, curato da Mario Autore, che cuce nella contemporaneità le note irripetibili di Mozart, si muovono con sapienza gli attori/personaggi, con una misura recitativa giusta tra lazzo farsesco e malinconica elegia, in particolare lo Sganarello di Giacomo Vigentini che denuda l'anima del protagonista quasi più di Don Giovanni stesso, e l'Elvira di Giulia Trippetta giustamente rifranta tra passione erotica e afflati di redenzione. Insieme a loro le Maschere e Arturo Cirillo, con le sue naturali e consuete doti 'istrioniche', ci riportano al 'palcoscenico', ricordandoci che sempre di una 'Commedia' si tratta, anche quando, o forse proprio per questo, la tragedia ed il dolore della vita trovano in essa e nel riso che suscita il modo per essere o diventare consapevoli. Uno spettacolo di qualità nel complesso, per recitazione, regia e resa drammaturgica, forse con ancora qualche smagliatura nell'amalgama della scrittura, talora non del tutto coerente e dinamica nei diversi e contrapposti salti linguistici. Ospite del Teatro Nazionale di Genova, che lo coproduce, nel suo più grande teatro, l'Ivo Chiesa. Alla prima un quasi pienone con un pubblico che, coi suoi applausi ripetuti, ha mostrato di ben gradire. Maria Dolores Pesce