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ELVIRA - regia Toni Servillo

"Elvira", regia Toni Servillo. Foto Fabio Esposito "Elvira", regia Toni Servillo. Foto Fabio Esposito

(Elvire Jouvet 40)
di Brigitte Jaques © Gallimard

da Molière e la commedia classica di Louis Jouvet

traduzione Giuseppe Montesano
regia Toni Servillo
con Toni Servillo, Petra Valentini, Francesco Marino, Davide Cirri
costumi Ortensia De Francesco
luci Pasquale Mari
suono Daghi Rondanini
Roma, Teatro Argentina dal 21 maggio al 2 giugno 2019

www.Sipario.it, 3 giugno 2019

Si ignora il lavoro che v'è dietro uno spettacolo. I più vanno a teatro a cuor leggero certi d'assistere ad una buona od eccellente rappresentazione. Quando tutto è terminato si applaudono gli attori in scena, che con inchino elegante ringraziano per gli onori ricevuti. Poi il pubblico torna a casa, con l'animo ristorato dopo un'ora di – si spera – raffinato e intelligente godimento.
Che c'è di strano in tutto ciò? Nulla. Salvo il fatto che il teatro è molto di più di una rappresentazione. Quest'ultima è solo il compimento ultimo, e certo il più importante, di un lavoro certosino che ha avuto luogo per intere e faticose settimane, e di cui nessuno spettatore – salvo i meglio informati – è in grado di supporne l'intensità e la difficoltà. È di questo mondo nascosto che Elvira, spettacolo di Toni Servillo che ha riempito i teatri d'Italia e di Europa, ci fa dono.
Siamo a Parigi, poco prima dell'invasione nazista, nella scuola di Louis Jouvet: grande attore e maestro. Insieme ai suoi allievi prova il monologo di Elvira tratto dal Don Giovanni di Molière, in cui la donna sedotta e abbandonata accantona i furori dettati dal risentimento e dall'orgoglio, e a notte fonda va dal suo ingannatore amoroso a metterlo in guardia. Gli dice di pentirsi di quanto finora commesso. E se non vuol farlo per salvare la sua anima, che almeno lo faccia per lei, Elvira, per l'amore che v'è stato fra i due, ora tramutatosi in tenerezza, ora così libero da passioni insulse e false. Monologo intenso, difficile da interpretare, dove non si deve scadere nel patetico, ma neppure sostare nella superficie. Arduo equilibrio da raggiungere. Come fare? "Prima bisogna recitarlo interiormente. E poi dirlo, perché non se ne può fare a meno. Soltanto allora il sentimento diviene sincero e non si può più tacere", suggerisce Jouvet.
Testo nato dalla penna di Strehler col duplice intento di festeggiare i quarant'anni dalla fondazione del Piccolo Teatro di Milano e l'inaugurazione della nuova Sala Studio – siamo nel 1987 –, Toni Servillo, con opportune modifiche drammaturgiche e un tono d'impostazione generale tutto nuovo, stravolge l'assetto originario del lavoro del regista triestino. Per il quale Elvira doveva essere una sorta di lezione studio.
Per Servillo no. Questo lavoro doveva essere, come poi è, lo spettacolo di ciò che accade prima della rappresentazione. Dove il lavorio attoriale e l'approfondimento registico sono i soli ingredienti a rendere grande e autentico il teatro.
Servillo, potente e al contempo delicato interprete, rende tutto questo offrendo al pubblico un Jouvet meno burbero di quello strehleriano, riflessivo, assorto nel compito di trasferire le sue riflessioni a coloro che dovranno tesoreggiarle, fermo nei suoi intenti ma senza mai rinunziare al garbo e alla grazia.
Perché il teatro è soprattutto questo: gesto esemplare di cui si ha memoria, metafora su cui riflettere. Eredità di cui Jouvet ci ha fatto dono e che Servillo, con eleganza, ci esorta a non dimenticare.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Lunedì, 03 Giugno 2019 23:13

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