di W. Shakespeare
da Roberto Herlitzka
Diretto e interpretato da Roberto Herlitzka
Roma, TeatroLoSpazio dal 1 al 6 ottobre 2014
La sintesi intelligente dell'Amleto di Herlitzka
Ha debuttato, ieri, al teatro Lo Spazio di Roma, Roberto Herlitzka, portando in scena una personale rivisitazione del mito e del personaggio di Amleto con una sua regia, il cui successo si ripete, in giro per l'Italia, da oltre un decennio.
Ex-Amleto ci riporta non solo al giovane principe danese con i suoi tumulti dilanianti tra volere e dovere, pensiero e azione, cultura artistico-filosofica ed educazione alle armi ma trascina con se il background di ogni personaggio in relazione con lui nel testo originario, in una carrellata lucida di quel che ognuno di loro è effettivamente nell'opera shakespeariana.
Ciò che allontana Herlitzka da un cliché pericoloso e banale, pur temuto, secondo cui ogni attore ambisce a recitare almeno una volta nella sua vita il giovane aristocratico nato dal genio di Shakespeare, è proprio la sua calibrazione tecnica che non fa mai trapelare un'inverosimile piena personificazione del ruolo, propendendo piuttosto verso un'eco del mito d'Amleto e dei suoi, indirizzata al suo spettatore.
Troppo facile sarebbe stato scimmiottare un trentenne, con un risultato grottesco ed avvilente per le capacità tecniche e talentuose di un attore così raffinato.
Il gioco scenico, pur nel flusso unitario di un atto unico, era agilmente ritmato se non da atti e sipari da cambiamenti appositi nello stesso stile recitativo, allorquando si passava da un quadro all'altro, da una situazione all'altra. La memoria che ogni spettatore edotto poteva avere dello script originario scorreva nella mente di ognuno, parallelamente e in armonia con il testo scenico illustrato e disegnato abilmente dall'attore torinese.
Il "sembra" iniziale di Herlitzka - usato nell'Amleto di Shakespeare per la prima volta nel primo colloquio con Gertrude - è stato il giusto "la" per un'operazione recitativa certamente più brechtiana che stanislavskijana. Esso ha trovato la sua sintesi etimologica nell'intero lavoro e il suo contrappeso nella verità scenica finale della morte di Amleto, come degli altri, trasformata nel suo opposto proprio attraverso il racconto che Orazio s'incaricherà di fare, per tramandare il mito e consegnarlo appunto all'immortalità dell'arte, al fine di dare consistenza reale a ciò che sembra reale ma reale non può essere. Eppure la verità in arte, che può coincidere solo con il concetto di verosimiglianza, assume una forza realistica che dischiude meandri profondissimi, proprio per questo preclusi alla stessa realtà. Il teschio usato in scena dall'attore, infatti, una sorta di colonna sonora visiva dell'intero monologo, viene non a caso coperto nel finale. È una tragedia di morte che ha la forza di sottrarsi alla morte, vincendo su di lei grazie al racconto.
La risonanza dell'Amleto trova il giusto appoggio nel titolo stesso dello spettacolo e consegna il mito alla sua integrità. Herlitzka con la sua intelligenza attoriale, pur smembrando il testo per raccontarlo, non lo tradisce e non cade nella trappola vanitosa di voler recitare un Amleto senza averne più l'età, appoggiandosi piuttosto ad un impegno nella performance e nella dizione tecnicamente di pregio.
Il ritorno su di noi di tutti i significati, i messaggi, i sotto-testi e le allusioni lungimiranti dell'Amleto, che quest'operazione dall'impegno scenografico davvero minimalista è in grado di fare, regala un vigore al mito che difficilmente si riscontra in molte messe in scena di tipo convenzionale, proprio per una lettura troppe volte superficiale e affidata a strade registiche troppo spesso abusate e ripetitive.
Margherita Lamesta