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F.C.A. FASCISMI COMUNISMI ALCOLISMI - regia Alessandro Veronese

"F.C.A. Fascismi Comunismi Alcolismi", regia Alessandro Veronese "F.C.A. Fascismi Comunismi Alcolismi", regia Alessandro Veronese

Drammaturgia e regia Alessandro Veronese
Con Luisa Bigiarini, Cinzia Brugnola, Alessandro Prioletti, Alessandro Veronese
Produzione Fenice dei Rifiuti
Milano, Teatro Libero al 06 al 09 giugno e dal 13 al 16 giugno 2019

www.Sipario.it, 10 giugno 2019

Immaginate che Sartre decida di non chiudere completamente le porte, e lasci uno spiraglio perché entri un po' di esprit de finesse della commedia, che si possa pronunciare la fatale battuta "l'enfer, c'est le autres" con la levità della danzatrice classica, in punta di piedi, dando la sensazione che anche le verità più scomode possano camminare leggere, togliendosi idealmente le pesanti coturnate calzature dell'engangement. Alessandro Veronese è riuscito in questa impresa e, drammaturgicamente, ha costruito una perfetta bigamia con la Musa Talia e Melpomene, un menage a trois che ha dato al testo il giusto sapore agrodolce di tre creature immortalate nel momento del loro licenziamento, nel tragicomico istante del Capodanno, durante il quale vorrebbero un leopardiano venditore d'almanacchi per raccontare e raccontarsi l'autoinganno della speranza di un nuovo inizio. Tre cuori in una stanza, talmente vicini da avvertire le reciproche irregolarità cardiache, le sincopi, i sussulti, infarinano la faccia e chaplinianamente sorridono con il loro sorriso più accentuato ed insieme doloroso, proprio mentre incombono su di loro le nuvole di un'esistenza in grado di caricare la loro recitazione di un'umidità fatta di nero spleen. Un angryman e due angrywomen spogliati dalla dignità di un lavoro, hanno giusto una voglia di pioggia, per avere l'illusione di non piangere da soli, ma in compagnia di silenziosi dei, i quali non possono più presentarsi in scena perché la produzione della "machina" è stata de localizzata altrove. E mentre i personaggi esprimono il loro sincero, godardiano "crepa padrone, tutto va bene", il capitalista, incarnato con sulfurea e mefistofelica efficacia dallo stesso Veronese, come ultima beffa, trasforma il Capitale marxiano in un Kamasutra, e compra gli spiccioli dell'estremo valore aggiunto di un'anima, della stessa operaia che licenziò. E perché tutto si compia basta una stanza, perché gli involontari protagonisti di questo laboratorio di sperimentazione sociale scatenino la loro ira funesta, e siano dei perfetti clown del loro dramma esistenziale, che brucia sul loro viso nella forma di una lacrima ferma, immobile come quella di Pierrot. Luisa Bigiarini riesce nell'impresa di esprimere un personaggio che vive due volte, incarnando ora i toni lievi di una ludopatica alcolista con fonemi di testa, leggeri, che volano lievi nel cielo della comicità insieme agli asini di Stanlio e Ollio, ora reinventando la storia di una bambola abbandonata, uno psicodramma moreniano che è più freddo della morte. Alessandro Prioletti riesce a far detonare con efficacia ogni spunto umoristico, e gratta dalla laringe una musica berkoffiana con i tirapugni nascosti nelle risate. Cinzia Brugnola costruisce un personaggio comico, madido della rugiada esistenziale, avendo camminato a piedi nudi nel parco di Neil Simon, riesce efficacemente a far recitare anche i tacet, i cinematografici piani reazione, i tentativi hell-zapoppiniani di sfuggire alla pellicola esistenziale che scorre implacabile, e proietta sullo schermo della scena le acrobazie accompagnate da un sonoro "oplà, siamo vivi". Tutto vive in quei pochi metri di una casa che di bambola non può contenerne che una soltanto, ed in cattivissimo stato per giunta, e mentre l'eterna dialettica di destra e sinistra, di fascismi e comunismi si scalda la testa ad ogni sorso di grappa, riconciliandosi nell'improbabile tentativo bombarolo, affinché per una volta la rabbia si faccia cosa dura, ed esploda in faccia all'iniqua società, un'anima con estremo coraggio si sbozzola delicatamente davanti al pubblico, e più deposita seta fonetica sulla platea, più, svestendosi di quella serica pelle, mostra la carne viva e ferita che le vive dentro, riportando la storia ad un redde rationem, alla verità di un mondo che oltre a delocalizzare le sedi legali e quelle fiscali, vorrebbe fare lo stesso con la coscienza umana, la quale non può far altro che sedersi su un divano, per aspettare un Godot, o almeno un Godard, perché lo sfruttatore passi a peggior vita.

Danilo Caravà

Ultima modifica il Lunedì, 10 Giugno 2019 21:10

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