Progetto ombre - secondo movimento
di Fleur Jaeggy
regia: Giorgio Marini
con Emanuele Carucci Viterbi, Elisabetta Piccolomini e Anna Paola Vellaccio
Milano, Crt Teatro dell'Arte, dal 26 febbraio al 2 marzo 2008
Roma, Teatro India, dal 2 al 7 dicembre 2008 (prima nazionale)
Al teatro India il secondo atto della trilogia di Giorgio Marini
Giorgio Marini, uno degli ultimi maestri del teatro italiano della modernità, lavora da anni con rigore maniacale a una trilogia «apocrifa» che ruota attorno al tema del doppio, e che realizza con Florian Teatro. Dopo Occhi felici tratto da Ingeborg Bachmann, e in attesa del conclusivo I gioielli di Madame d.... di Louise de Vilmorin, è passato ora da Roma all'India il secondo «movimento», I gemelli tratto dal racconto di Fleur Jaeggy. Se nel racconto della Bachmann erano due donne protagoniste, e tra loro un uomo, qui si tratta di due uomini, fratelli, una vita in parallelo vissuta sempre discretamente assieme, fino al ritiro senile nel borgo montano svizzero presso Coira. E la scena è una distesa di neve soffice e ovattata, con pochi oggetti come due sedie dalle fattezze d'albero. Ma non solo la scenografia, quasi la drammaturgia è nel teatro di Marini fatta soprattutto di luci e buio, ombre e chiaroscuri in grado di esprimerne la costitutiva ambiguità. Un elemento questo, accresciuto qui dal fatto che a impersonare i due fratelli siano due attrici di assoluto rigore e capacità scenica (Elisabetta Piccolomini e Anna Paola Vellaccio). L'unico attore, Emanuele Carucci Viterbi, passa dal ruolo del pastore a quello della di lui moglie, al cane sanbernardo che figurano come i pochi abitanti di quella landa. I due personaggi protagonisti, oltre a poche azioni previste da racconto (tra cui un incontro amoroso tra loro, unico e ultimo della loro vita), disegnano in realtà per tutto il tempo e con inesauribile creatività, una sorta di diagramma del linguaggio scenico di Marini. Grazie all'affiatamento e alla precisione raggiunti nel lavoro di questi ultimi anni, ci mostrano più che la vita di quelle due malinconiche creature, la perfezione della prospettiva e dell'inquadratura, il senso e la misura del tempo e dello spazio, le infinite possibilità di variazione, in senso anche musicale, che un palcoscenico può offrire. Naturalmente se vissuto con dedizione totale e un desiderio incessante di ricerca della forma assoluta.
Gianfranco Capitta
Il primo capitolo della trilogia da Giorgio Marini dedicata al tema del doppio, Occhi felici di Ingeborg Bachmann, mi aveva entusiasmato. I gemelli di Fleur Jaeggy mi pone un problema critico. A causa dei due diversi testi? Niente affatto. Non voglio dire che siano uguali e dello stesso calibro. Come è flagrante nell' uso dei tempi verbali, I gemelli è di per sé un eccellente racconto cubista dentro un' immagine di quiete, di silente e disteso inverno. Alla fine si tratta di un quadro. Vi si scorge un paesaggio alpino: un villaggio, un cimitero, un cane San Bernardo, un prete, i due gemelli, la loro castità, l' esplosione sessuale alle soglie della senilità, una castigatezza ai limite dell' asfissia gestuale e morale. I gemelli è un racconto nel quale la doppiezza (la gemellarità) funziona da perturbante visibile a occhio nudo. Ma davvero perturbante è ciò che l' inverno occulta nel suo incommensurabile silenzio, nel suo silenzio immemoriale. Esso (questo è il vero tema del racconto) è quanto di morte spirituale anticipa la morte reale: come essa può essere percepita (la morte reale) da noi vivi. In questo paesaggio, che Giorgio Marini alla guida degli attori del Florian di Pescara, tutti di straordinaria duttilità - Elisabetta Piccolomini, Anna Paola Vellaccio e Emanuele Carucci Viterbi, cui toccano più parti, perfino quella del cane docile, che si lascia volentieri carezzare dai due inquietanti e glaciali gemelli - in questo paesaggio, dicevo, Marini, con un occhio a I fratelli Tanner di Robert Walser e con l' altro alla fiaba tedesca, Hänsel e Gretel, compie la sua alta sperimentazione. Con Ronconi egli ha in comune una volontà di decostruzione del testo. Ma è più coerente, più eccentrico e solitario nella elaborazione di un repertorio che tende a configurare un autoritratto. In tal senso, mentre Ronconi è solidamente assiso nella sua qualità di ricco artigiano, Marini segue una difficile traiettoria di artista. Qual è, ci si chiede, la posizione critica di Marini verso la sua materia? Quale, al di là della scelta di certi contenuti (e di certi temi ossessivi)? Non è una vera e propria posizione critica. Né, d' altra parte, è una posizione illustrativa, o peggio, supina, di mera accettazione. Nel suo stile la partitura visiva è dominante. Pure, la partitura ritmico-verbale la condiziona in modo assoluto. Questa seconda partitura, che consiste nell' enunciazione del racconto da parte dei tre attori, ha una dimensione che vorrei definire tautologica e che di fatto è celebrativa. Il racconto dice che uno dei due gemelli (Ruedi-Vellaccio) ha un occhio castano e un occhio blu, sì che lo si distingue dall' altro? Ed ecco che un sinistro riflesso di luce colpisce quell' occhio e che esso si riverbera. Oppure, il racconto dice che si sfogliano le pagine di una Bibbia? Ed ecco che l' altro gemello (Hans-Piccolomini), mentre ciò viene detto, lo fa, sfoglia la Bibbia. Questo raddoppio costante trapassa in una dizione-recitazione colma di strascichi, di echi, di riverberazioni sonore. Ne consegue una dominante musicale. Il tessuto narrativo si lacera in modo irreparabile, diventa ininfluente, ciò a cui assistiamo è uno spettacolo teatrale che poco a poco si tramuta in un concerto di musica atonale, a volte di esasperante staticità. Vi è, in tutto ciò, l' ho detto, la norma della ripetizione. Ma vi è anche un che di ossessivo. È come se Marini, con tutti i suoi felpati trucchi, si costruisse addosso non altro che una gabbia dorata.
Franco Cordelli
Dal bel racconto di Fleur Jaeggy «I gemelli», che sotto la calma monotona della quotidianità nasconde il gorgo segreto dei perché della vita, Giorgio Marini ha ideato uno spettacolo dalla raffinata drammaturgia e di grande fascinazione visiva. Uno spettacolo che coglie l' anima del racconto in un incedere tra bui e sciabolate di luce che sembrano dare corpo a una verità ma in realtà ne restituiscono l' angustia e il tormento, in perfetta sintonia con la scrittura a frasi asciutte e brevi, che diventano scaglie di sentire ripetute per lanciare l' azione, per spiegarla, per darle una forza più radicata nel pensiero. In un paesino svizzero di montagna vivono i gemelli, ben interpretati da Elisabetta Piccolomini e Anna Paola Vellaccio, nati da una madre morta, orfani, stretti da un legame profondo e ambiguo. Bastando a loro stessi, inseguono le stesse fantasie, si amano anche carnalmente, una sola volta quasi fosse un rito, ricercano vivendo il senso della vita. I vecchi dagli occhi curiosi, il pastore con la moglie, interpretati dal bravo Emanuele Carucci Viterbi, il cimitero, la natura sono i complementi della loro esistenza che conosce dolori, dolcezze e malinconia. Ormai vecchi vengono «invitati» ad abbandonare la casa d' origine. E loro oppongono dei semplici no. Uno spettacolo notturno, spettrale che ben sa raccontare una storia che penetra la follia della realtà. Crt Teatro dell' Arte, fino a domani
Magda Poli