Fondazione Teatro Di Napoli – Teatro Bellini
Marche Teatro
Teatro Stabile di Bolzano
SERGIO RUBINI
DANIELE RUSSO
IL CASO JEKYLL
tratto da Robert Louis Stevenson
adattamento Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini
e con
Geno Diana, Roberto Salemi, Angelo Zampieri, Alessia Santalucia
scene Gregorio Botta
scenografa Lucia Imperato
costumi Chiara Aversano
disegno luci Salvatore Palladino
progetto sonoro Alessio Foglia
foto di scena Flavia Tartaglia
regia SERGIO RUBINI
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman 21 gennaio – 2 febbraio 2025
Andando oltre la storia dello Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, dal quale Sergio Rubini ha tratto lo spettacolo in scena al Quirino, Il caso Jekyll, occorre chiedersi: cos’è che colpisce, o dovrebbe colpire, gli spettatori che vanno a teatro a vederlo? La storia non di certo. Sebbene il nostro attore, nelle vesti anche di regista e adattatore insieme a Carla Cavalluzzi, abbia inserito nella vicenda raccontata da Stevenson le teorie di Freud e Jung. In breve: gli esperimenti del dottor Jekyll non sono più portati avanti per vezzo scientifico e curiosità, ma perché il protagonista deve, o vuole, fare i conti con la sua parte oscura e incontrollabile che alberga dentro di lui, agendo a sua insaputa suggerendogli pensieri turpi che solo la morale, l’educazione, un senso di giustizia sociale da tutti condiviso – quello che Freud, in breve, definisce Super Io – gli impediscono di tramutare in azioni. E però questo oscuro basso continuo preme per emergere (ecco entrare in scena la teoria junghiana), e bisogna integrarlo con quello luminoso ed estroverso, in modo da raggiungere la piena consapevolezza del Sé. Quindi Jekyll, riletto da Rubini, che fa? Favorisce l’entrata in scena del suo Hyde, salvo poi non sapere come gestirlo, controllarlo. Tanto che, quest’ultimo, s’impossessa del suo corpo, delle sue azioni e dei suoi sentimenti. O forse questa padronanza l’ha sempre avuta e, ecco la sua colpevolezza, Jekyll non ha saputo gestire la situazione perché non ha mai chiesto aiuto a chi ne sapeva più di lui? Rubini, navigando fra Stevenson, Freud e Jung vuole dirci che non si può giungere alla propria consapevolezza da soli, perché occorre sempre un occhio esterno che, dotato della giusta prospettiva, dà la corretta visione di ciò che facciamo ed esprimiamo. E qui fa capolino il pensiero di Sartre: l’uomo è un essere nel mondo? E chi può dirlo?... Ferma restando l’immensa bravura attoriale di Daniele Russo nei panni di un Jekyll dolcissimo e dimesso – all’apparenza – e di un Hyde crudele, reso ancora più turpe da una voce roca, movenze melliflue e serpentiformi e sguardi colmi di sanguinaria voluttà – una prova d’attore di notevole espressività –, l’intero spettacolo, benché dotato di ritmo, essenzialità nella scrittura e nella struttura, è apparso tutt’altro che propriamente teatrale. Nel senso che la drammaturgia: con voce narrante affidata a Rubini a fare da raccordo, ha intessuto molte scene tra loro, con tantissimi ambienti diversi evocati a parole e vagamente rappresentati scenograficamente, così ordita ha finito per somigliare a un trattamento cinematografico al quale il teatro ha dovuto adattarsi. Questo è un bene o un male? Diciamo che ogni genere artistico ha le sue regole compositive, e vanno rispettate. E perciò: qual è il motivo alla base di tale operazione, sia dal punto di vista drammaturgico che di contenuto? Ecco una domanda alla quale né Stevenson, né Freud, né Jung riletti da Rubini hanno saputo dare esaustive risposte. Pierluigi Pietricola