di Mimmo Mancini e Pietro Albino Di Pasquale
con Mimmo Mancini
regia: Enrico Maria La Manna
Roma, Teatro dell'Angelo, dal 7 al 26 ottobre 2008
nei panni di una folla di personaggi
La sensazione finale è di sovraffollamento. Quella iniziale di curiosità. Quella di mezzo di interesse. Sovraffollamento perché ne Lo Zì, in scena al teatro dell'Angelo (fino al 26) c'è tutto: teatro di narrazione, teatro civile, teatro dialettale. Che non si escludono, ma che messi insieme possono costruire uno spettacolo vagamente "trendy". Anche se del tema de Lo Zì non si potrà mai dire che è troppo discusso, perché al centro della vicenda - e dentro ci sono politica, questione meridionale, scorrettezza sociale - c'è un bambino/uomo disabile. E la questione, ovviamente, si deve appuntare sul problema dell'accettazione, a partire dalla negazione della realtà da parte della famiglia per arrivare alle paure della gente. Ma si possono sviscerare tutti questi spinosissimi argomenti in ottanta minuti di monologo?
Torniamo allo spettacolo. Il ragazzo sulla sedia a rotelle si chiama Benito (siamo al Sud in epoca fascista), e ha un fratello, Vittorio, che si prende cura di lui. Benito, Vittorio, sua madre, suo padre, un prete e vicini di casa invadenti. Sul palco un sol uomo: Mimmo Mancini. Mancini, anche autore del testo con Pietro Albino Di Pasquale (la regia è di Enrico Maria Lamanna), interpreta tutti i personaggi in un percorso a ritroso nel tempo che è anche viaggio interiore. L'io narrante è Vittorio, di professione mago, figlio del più grande taumaturgo d'Apulia, Umberto Giaguaro. Lo Zì è lo "zio", figura assente dalla famiglia Giaguaro, perché nessuno - per un motivo o per l'altro - può far figli. Domanda: Mancini fa tutti i personaggi, o Vittorio interpreta tutti i suoi morti per non ritrovarsi solo col senso di colpa? Questo il dilemma che dà forza alla pièce.
Paola Polidoro