di Valentino Zeichen
regia: Ugo Margio
con Anna Paola Vellaccio e Isabella Valentini
Montalcino, Teatro degli Astrusi. Festival di Montalcino 2007
Due sorelle condannate ad amarsi
Se è condizione che vi sia un rapporto sessuale per definire omosessuale un amore, lo ignoro. Suppongo di no, come per ogni altro tipo di amore. Un rapporto d' amore è un rapporto d' amore e basta. E tale è il rapporto che lega Luce e Fiamma, le due protagoniste eponime della commedia di Valentino Zeichen, messa in scena da Ugo Margio. A questa riflessione sono indotto dalla suggestione della giornata. Tornavo a Montalcino a distanza di un quarto di secolo. Lassù, in quella Fortezza, avevo visto Eduardo nella sua ultima esibizione in pubblico. Era contrastato dal vento e lui, nonostante la fragilità fisica, gli si opponeva con straordinaria energia. Ma il primo dei due spettacoli della giornata non era propriamente teatrale. Essendo a Montalcino, come resistere alla tentazione? A pochi chilometri, nell' Abbazia del Monte Oliveto, c' è un meraviglioso ciclo di affreschi: episodi della vita di San Benedetto, dipinti dal vercellese Antonio Bazzi, detto il Sodoma. Vi si intuiscono le inclinazioni sessuali del suo autore? Per niente, se non per la scarsa presenza di figure femminili e per la grazia dei frati giovinetti. Quello che si vede bene, è l' energia narrativa, o rappresentativa. Se il Sodoma non fu un originale stilista, diviso com' era tra influssi provenienti da ogni dove (da Leonardo a Raffaello), fu però un grande narratore popolare, o un grande regista: ogni affresco (ogni episodio) un quadro di vita, una spinta nel tempo. Così Luce e Fiamma si configurava nella mia mente come una vicenda di amore oscuro, inespresso, indisponibile a dichiarare se stesso. Pensando al suo autore, non era sorprendente. Non è il poeta Zeichen uno spirito elusivo, bizzarro, inafferrabile? Zeichen è tanto diretto e, si direbbe, infantile, quanto avveduto nel vestire d' una qualche metafora il suo sentimento. Anche in Luce e Fiamma è così, a partire dal titolo. Il sentimento che lega le due sorelle appare come una voluta, un ghirigoro, una successione di linee che sempre scartano dal punto fermo: un sentimento così intrinseco da sfiorare l' omosessualità, ma sempre insidiato da un tocco di frivolezza. Le due sorelle si amano ma, anche, si detestano. Nel loro rapporto l' uomo è inammissibile. Sono condannate l' una all' altra, l' una a sottomettere l' altra. Fermo restando che i ruoli potranno di colpo rovesciarsi: lo testimonia una geniale scenografia, autentico esempio di scenotecnica iperespressiva. Due piattaforme triangolari sono unite da 3 scale e - si badi bene, perché qui i numeri diventano eloquenti, diventano esoterici - da 4 catene: il 3 e il 4 sono in lotta tra loro e tra loro si congiungono come le due sorelle. Fiamma era la padrona e Luce la sua schiava? Così abbiamo creduto, anche se la prima scena, cupa e ossessiva, si risolveva come svelamento di un sogno (di Luce). Ma per Margio, l' anti-frivolezza in persona, l' aerea elusività di Zeichen era troppo inafferrabile. Per il regista che lui è (per l' uomo che è), due donne sono un maschio e una femmina, e una femmina e un maschio sono il femminile e il maschile. Bisogna stare sempre con i piedi per terra o nei grandi sistemi misterici. Per Margio, la vera vincitrice era Luce: con Luce, Anna Paola Vellaccio, terrestre portabandiera del regista, e Fiamma, Isabella Valentini, spirituale portabandiera del drammaturgo, a combattere l' eterna battaglia di ogni racconto teatrale, tra ciò che realmente accade e il suo platonico presupposto. La tenzone, una fantasia alla Borges-Zeichen (il Borges del racconto «I teologi»), si concludeva con un nuovo sogno, anzi un incubo. A sognare adesso era Fiamma, la vera vittima: quella figura alla Munch-Margio, le mani davanti al viso, a nascondere la vergogna della troppa intimità, anzi il suo orrore.
Franco Cordelli