progetto e regia di Mitridate Keradman
Con Massimiliano Cutrera, Giulio Turli, Teodora Nadoleanu, Daniel Terranegra
Scene di Francesco Ghisu
Spettacoli, proiezioni, incontri e letture
Roma, Teatro Sala Uno, dicembre 2007
Un bagno di Noir, seduti a teatro, in cerca di emozioni proibite. A volte è possibile. E quando accade si gioisce della riuscita di un’impresa a dir poco titanica. Sempre difficile dare dignità sul palcoscenico a questo genere letterario, tenendo viva la tensione, facendo vibrare il climax narrativo, coinvolgendo lo spettatore come farebbe uno scrittore concatenando eventi e tessendo fili di equivoci, inquietanti scoperte, paure. L’angustia dello spazio scenico, i limiti della parola nel suo passaggio dal libro alla recitazione spesso non aiutano.
“Malattia” è un singolare capitolo della ricca rassegna noir capitolina (spettacoli, film, incontri e letture) firmata Shahroo Kheradmann. Nasce da un libro, “L’assassino che è in me” di Jim Thompson. scrittore americano scomparso, talentuoso ma sconosciuto a molti. I suoi personaggi sono truffatori, perdenti, psicopatici, ai margini della società o perfettamente integrati. Non ci sono “buoni”, difficile trovarli nei romanzi. Tutti nascondono qualcosa. Tutti nascondono una malattia: il dolore di vivere divenuto odio, egoismo, vizio e istinto omicida. Come il protagonista di “Malattia”, che piano piano, a sorpresa, toglie la maschera. Una follia criminale celata da sorrisi e buoni propositi. Le note di una chitarra elettrica, suonata dal vivo e in creazione libera e continua, quasi ossessiva, fanno da sottofondo e contrappunto a lampi di trama narrativa. La tensione è palpabile e quando all’improvviso, in una scena d’amore malinconica e venata di stranezze, il nostro antieroe da un innocuo frigorifero tira fuori la mano mozzata di una donna e le sfila l’anello dal dito, il paradosso e la sorpresa esplodono.
Tavoli di metallo appesi a catene che piombano dal soffitto, qualche suppellettile casalingo: tutto il mistero e l’abisso umano del romanzo sono affidati alla recitazione. Gli attori si dividono con grande naturalezza e forza espressiva tra svagata percezione del reale e piena consapevolezza di se stessi. Ma il ritmo, serrato, vive anche di momenti d’un cantilenante dipanarsi degli eventi. Una lentezza innaturale, alternata alla violenza di omicidi inaspettati e discorsi al limite del delirio. Non è dato capire la vicenda, non nel particolare almeno. Né, forse, fino in fondo, la psicologia dei personaggi. Un intento voluto. In scena sono le atmosfere e le suggestioni del Noir.
Flavia Bruni