di Nicola Calì
Regia Nicola Calì
Scene David Crea, Costumi Santino Macchia, Musiche originali di Pippo Mafali, Aiuto regia Daniele Cesareo
con Giovanni Boncoddo, Nicola Calì, Simonetta Pisano, Gianni Di Giacomo, Alessandro Santoro
Sala Laudamo, Messina dal 23 al 25 marzo 2012
MESSINA Giovanni Boncoddo gioca a scacchi con la morte come ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman. Torna in scena dopo otto anni da quell'incredibile incidente che l'ha miracolosamente lasciato vivo e raziocinante e gioca adesso ad interpretare il ruolo di Curzio Malaparte negli ultimi giorni della sua vita quando sta per tirare le cuoia in un lettino d'ospedale. L'atmosfera creata da Nicola Calì, regista de La pelle del serpente, un atto unico di 60 minuti ricavato da alcune schegge del noto romanzo La pelle dell'avventuroso ed esibizionista giornalista-scrittore-drammaturgo che fu Malaparte, sembra quella di A porte chiuse di Sartre con l'eterna nemica che si beffa dei vivi. Lo stesso Calì, incomprensibile nel profferire verbo forse per motivi odontoiatrici, veste i panni d'una specie di medico in camice nero (i costumi sono di Santino Macchia, le musiche di Pippo Mafali) che inietta morfina e nello stesso tempo sembra proprio una comare secca che non vede l'ora d'ingurgitare quel malato terminale che delira e fa sogni surreali. Il dialogo fra i due sembra quello del condannato a morte col suo carnefice che appare trasfigurato in sogno con la faccia del suo (di Malaparte) cane Febo: le tre infermiere di bianco vestite (Simonetta Pisano, Eliana Risicato, Valentina Sicari) vengono accostate al Trio Lescano che cantano Maramao perché sei morto e Tuli –tuli-pan: mentre gli altri due sanitari - uno dal perfetto aplomb professorale (Gianni Di Giacomo), l'altro (Alessandro Santoro) in abiti borghesi curvo, anfetaminico e sudaticcio, quasi una sorta di Frankenstein junior - cercano di alleviare le patologie di cui è affetto quell'ammalato di riguardo. Sulla scena nera di David Crea solo alcuni elementi (lettino con comodino, un porta-catino, un vecchio grammofono) e un Boncoddo che grida che "la guarigione è la morte e la malattia è la vita" e non si dà pace nell'avvertire che "la morte non può essere donna perché la donna ci dà la vita". Consueti applausi finali e repliche alla Sala Laudamo sino ad oggi pomeriggio.
Gigi Giacobbe