da Samuel Beckett
di e con Roberto Trifirò
Milano, Teatro Franco Parenti, dal 9 al 22 novembre 2009
Un uomo in uno sghembo cubo di sabbia, nel quale sono infissi oggetti di un passato qualunque, cerca la madre o forse se stesso, racconta, ricorda. È l' essere che il bravo Roberto Trifirò, autore e interprete, fa vivere nel suo affascinante spettacolo «Parole che cadono dalla bocca» tratto principalmente dal romanzo di Samuel Beckett «Molloy». I movimenti sono stentati, le gambe non reggono, il corpo è degradato, il viso è quello di un inquietante clown dalla bocca asimmetrica e bianca e dalla nera linea della barba, gli abiti una maglia di lana, bretelle, guanti: è Molloy, cui con bella misura Trifirò da tenerezza e sarcasmo, dolcezza e disinganno, volgarità e garbo, avvolto in una spirale di storie e riflessioni. E questa memoria esibita che si porta appresso le cicatrici di un' esistenza è fallace, confusa, ogni frase è contraddetta da quella successiva, ogni personaggio trasmigra nell' altro fino a giungere all' abolizione di ogni definizione e differenza, Molloy potrebbe essere la madre che cerca o la vogliosa Lousse, o Ruth, la vecchia o il vecchio dal quale Molloy ha imparato il gioco del sesso. E la vita è un paradosso, una contraddizione che si annulla da sé e la memoria, con la parola, si erge contro la morte, sapendo che è strumento inadeguato, conoscendo l' inesorabilità, sapendo e non cedendo, non ancora.
Magda Poli