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SOLARIS – regia Paolo Bignamini

“Solaris”, regia Paolo Bignamini. Foto Stefania Ciocca “Solaris”, regia Paolo Bignamini. Foto Stefania Ciocca

da Solaris di Stanislaw Lem (Sellerio editore) e da Andrej Tarkovskij
drammaturgia Fabrizio Sinisi
regia Paolo Bignamini
con Debora Zuin, Giovanni Franzoni, Antonio Rosti
scene e aiuto regia Francesca Barattini
assistente Gianmarco Bizzarri
costumi Gerlando Dispenza
disegno luci Fabrizio Visconti
musiche originali di P.I.G.
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano
in collaborazione con ScenAperta Altomilanese Teatri
con il contributo dell'atelier d'ecriture diretto da Laura Tirandaz all'Università d'Avignon
Teatro I, Milano, dal 20 al 23 giugno 2018

www.Sipario.it, 26 giugno 2018

Ragione e sentimento nella trasposizione teatrale dell'opera di Lem e Tarkovskij

Stanislaw Lem e Andrej Tarkovskij ispirano Fabrizio Sinisi a dare forma teatrale a "Solaris", già opera letteraria e cinematografica. L'obiettivo è arduo in partenza e lo diventa ancora di più se lo si vuole raggiunge in poco più di un'ora, durata della pièce a cui abbiamo assistito. La messinscena, diretta da Paolo Bignamini, ci propone l'incontro tra due astronauti, il Dottor Sartorius (Antonio Rosti) e Kris Kelvin (Giovanni Franzoni), in una stazione orbitante sotto l'influenza di un pianeta, Solaris, dove i ricordi e le ossessioni diventano fantasmi inquietanti della mente dei personaggi. È questa l'atmosfera psicologica in cui i ricordi di Kris Kelvin assumono la forma della moglie Harey, morta suicida 14 anni prima. Da qui, lo scontro tra la razionalità incarnata dal Dottor Sartorius e il sentimentalismo sempre più invadente dello stesso Kelvin. "Solaris" diventa allora un pretesto per affondare la ricerca di un senso in un'ottica filosofica di stampo esistenzialista tesa a mettere in risalto l'incontro-scontro tra sentimento e ragione. Cosa vogliamo? Che tipo di vita decidiamo di vivere? Una vita più emotiva o più mentale o un'armonizzazione di entrambe? È un aut-aut kierkegaardiano, quello proposto da "Solaris", o forse un invito a cercare un difficile ma soddisfacente equilibrio fra due scelte che sono anche due esigenze irrinunciabili della nostra vita. È questo il filo rosso che scorre sotto tutta la rappresentazione da cui i personaggi di Astorius e Kelvin assumono dei connotati precisi: il primo è un inno alla ragione, fisicamente rigido e meccanico nella tonalità della voce; il secondo è sensuale e sentimentale, flessuoso nel corpo e suadente nel tono della voce. E poi c'è Harey che compare come proiezione della mente di Kelvin che, disperato, finirà col prendere una pistola in mano. Non c'è salvezza per nessuno. Astorius "affogherà" nella sua fredda aridità. Kelvin sarà travolto dal ricordo della moglie. Tutti questi eventi scorrono sul palcoscenico ma, non sempre, sono di facile lettura; li contraddistingue una regia pulita, ma senza colpi di scena, che risente del confronto cinematografico e una drammaturgia costretta a una messinscena troppo breve per i contenuti importanti che tenta di esprimere.

Andrea Pietrantoni

Ultima modifica il Martedì, 26 Giugno 2018 12:13

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