liberamente tratto da Lo cunto de li cunti
di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
assistente di produzione Daniela Gusmano
assistente alla regia Manuel Capraro
produzione Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, e Carnezzeria.
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
durata 60’
Roma – Teatro Vascello 19 novembre - 1dicembre 2024
Il senso de La scortecata – fiaba di Giambattista Basile de Lo cunto de li cunti – è racchiuso nella morale conclusiva: “L’invidia, figliuol mio, se stessa buca”. La storia di queste due vecchie, una delle quali gabba un sovrano fingendosi bella solo nella voce e, scoperta per quello che è dopo una notte d’amore: donna brutta e deforme tutta pellaccia, viene gettata dalla finestra dal re per poi, imbattendosi in tre fate, essere trasformata in avvenente fanciulla, col sovrano che, vedendola, se ne innamora e la sposa creando così invidia verso l’altra la quale, chiedendo alla sorella come ha fatto a tramutarsi così, si sente rispondere: “Mi sono scorticata”; e seguendo il cui consiglio va incontro a sofferenza e morte: questa storia, si diceva, a lettura appare divertente e paradossale. E ciò in virtù del fatto che un tempo le fiabe erano una forma di intrattenimento. Da qui il dilungarsi di Basile in tanti modi di dire popolari, che fanno intuire come il genere novellistico fosse prettamente orale. Un’oralità che il grande scrittore ha trasferito su pagina, dando alla lingua uno stile unico. Emma Dante, adattando La scortecata per le scene, si è chiesta quale possa essere oggi la funzione delle favole. O meglio: di che natura sono le storie che oggi le persone si raccontano, quale la loro ragione. Non per intrattenersi a vicenda. E allora? La Dante non ha dubbi: per incentivare illusioni dietro le quali nascondere una realtà che non si vuole affrontare e accettare. Ignorando, tuttavia, che prima o poi la verità viene a bussare alla porta esigendo il conto e i suoi arretrati. A questo punto, allora, la fiaba di Basile si trasforma in una metafora dove le storie non sono raccontate per divertire, ma per illudersi. Esse più non sono il regno del simbolico attraverso il quale individuare i moti dell’animo, ma pura fantasticheria che ci allontanano da una presa di coscienza serena e immediata (pur coi suoi tempi). La vicenda delle sorelle diviene, perciò, un modo che due vecchie brutte e sole inventano per scappare – lo credono loro! – dalla solitudine e dalla bruttezza data dall’età. Sin quando una sorella decide di farsi scorticare dall’altra di modo che, tolta via la pellaccia avvizzita e pencolante, riverrà fuori la ragazza giovane e bella d’un tempo. Così facendo è vero che la Dante toglie alla fiaba quell’aura di innocente ironia; e però la fa divenire simbolo severo di un’epoca dove il passare del tempo, l’accettazione consapevole della realtà, le insane illusioni scambiate per vere: tutto questo è accolto nella vita a scatola chiusa, non rendendosi conto che è deleterio per la vita. Un’idea bella ed incisiva. Bravissimi i due interpreti, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, nel ruolo delle vecchie. Questi due immensi attori, con movenze rattrappite e marionettistiche, espressioni del volto contratte, voci stridule e bei controtempi comici, hanno realizzato una versione della Scortecata intensa, divertente, umana che verrà ricordata a lungo. Pierluigi Pietricola