di Henrik Ibsen
regia di Cristina Pezzoli
con Patrizia Milani, Carlo Simoni, Alvise Battain, Fausto Paravidino, Valentina Brusaferro
Teatro Stabile di Bolzano
Teatro Arena del Sole, Bologna dal 10 al 13 novembre 2011
Nel dramma in tre atti "Gengångare" ("Spettri", 1881) tutte le corde della tragedia classica da un lato, e del dramma borghese dall'altro vengono suonate all'unisono in quello che può essere definito un effetto di rarefazione del dolore e della disperazione.
Ma fra le righe dell'opera di Ibsen è dato scorgere anche e per fortuna una sottile linea che lega i personaggi alla vita, tramite le ironie quotidiane, le menzogne a "fin di bene", il perbenismo che tutto ricopre. Non è un caso dunque che i personaggi più tragici e quindi più eroici risultino essere proprio i più giovani, Regine e Osvald, che dopo aver tentato un amore salvifico per entrambi, scoprono la non voluta realtà dell'incesto e sono quindi costretti a cedere ai loro reciproci destini tragici: il disonore per l'una, la morte suicida per l'altro.
Di tutt'altra fatta i protagonisti più adulti, più disincantati, disposti a venire a patti con le meschinità e le menzogne di una esistenza in un lontano Nord, non così lontano da non poter essere raggiunto dalle nefandezze e dalle perversioni dell'animo umano.
L'elaborazione drammaturgica di Letizia Russo e la regia di Cristina Pezzoli sembrano allora puntare proprio su questo sguardo duplice poiché due sono le generazioni che recitano sulla scena nei panni di attori come Patrizia Milani e Carlo Simoni, o di promesse del teatro come Fausto Paravidino.
Ma l'accento, è opportuno sottolinearlo, non ricade solo ed unicamente sul testo e i suoi personaggi. La scenografia e la musica fanno la loro parte allontanando questo classico della drammaturgia dal rischio della messinscena troppo fedele e troppo realista. Al contrario, quattro enormi pareti, due delle quali mobili e trasparenti (quella anteriore e quella posteriore) incorniciano la scena, la inscatolano quasi in una sorta di ricostruzione in itinere dello spazio scenico. Quest'ultimo è infatti quasi metaforizzato nel momento in cui sulle grandi pareti- schermo corrono delle gocce di pioggia come se scivolassero sui vetri delle finestre più comuni; allo stesso modo, in uno dei momenti più drammatici dello spettacolo, quello in cui la vedova Alving svela al Pastore Manders le nefandezze a cui il marito l'aveva costretta per tutti gli anni del loro matrimonio, sulla parete posteriore passano immagini sufficientemente confuse di atti sessuali depravati, a simboleggiare quello che il testo e la scena non possono raccontare.
La parete posteriore, trasparente come un vetro, costituisce anche e soprattutto lo schermo di rifrazione degli spettri, di quei fantasmi (i protagonisti e le loro azioni) che vengono dal passato a distruggere il precario equilibrio apparente del presente.
Gli spettri del passato e della morale sono i protagonisti in absentia del dramma di Henrik Ibsen. Quei fantasmi facevano paura a fine Ottocento quando la pièce fu bandita per molti anni dai teatri norvegesi.
E oggi? Citando De Filippo...chi ha paura di "questi fantasmi"?
Francesca Di Tonno