di Lucia Sardo
Interpreti: Gioacchino Cappelli, Lucia Sardo e Sibilla Zuccarello
Costumi: Rosy Bellomia
Musiche originali: Sibilla Zuccarello e Gioacchino Cappelli
Regia: Lucia Sardo
al Clan Off Teatro di Messina 24 e 25 febbraio 2018
A distanza di sei anni, da quando andò in scena al Verga di Catania, La nave delle spose, dramma in lingua e in dialetto siciliano scritto da Elvira Fusco e Lucia Sardo, si è rimpicciolito e con la sola firma di quest'ultima, che in quella versione diretta da Giuseppe Dipasquale vestiva i panni di Annaluna, la narratrice visionaria che ha perso un figlio in una tempesta, che da trent'anni non scende mai a terra come quel pianista sull'oceano di Novecento di Baricco-Tornatore, il lavoro ha cambiato titolo diventando Venivamo dal mare, con soli tre personaggi in scena (la stessa Annaluna di Lucia Sardo, pure regista, in compagnia di Gioacchino Cappelli in vari ruoli, anche canterini e ballerini e di Sibilla Zuccarello al pianoforte, pure pupàra) rispetto al numeroso cast precedente formato da sedici donne e sette uomini. Sostituito in parte, si fa per dire, da un nugolo di pupe siciliane fatte muovere dai tre protagonisti che danno voce e corpo a questi pezzi di legno dalle folte capigliature, agghindate di tutto punto, raffiguranti quelle giovani donne, casalinghe o contadine, spesso bigotte e/o analfabete, pure superstiziose che credono alle magarie e ai malocchi, che decidono di lasciare i luoghi natii scegliendo di sposarsi per procura con altrettanti uomini, a loro volta emigrati in nave in America, dove hanno trovato un lavoro e una casa d'abitare. Le poverette hanno in mano una valigia di cartone stretta da uno spago con dentro un sobrio corredo e nell'altra stringono la foto ingiallita vera o falsa di colui o di coloro che sposeranno, spesso menzognera perché colui o coloro sono molto più vecchi dell'immagine raffigurata. I loro volti non sprizzano gioia piuttosto un malessere come di chi va ad un funerale e non ad un matrimonio e una volta salite sulla nave il Giovanni Capra di Gioacchino Cappelli, una specie di Caron dimonio dalla voce tonante, registra i loro nomi, divide i passeggeri tra maschi e femmine e li addottrina pure sulle prove che dovranno sostenere nell'isolotto di Ellis Island, il centro d'immigrazione di fronte a Manhattan. Parla la Sardo con le pupe di legno sulla scena del Clan Off Teatro di Messina, come se le avesse lì davanti in carne e ossa. Si rivolge a Rosa, la sposa bambina di Gangi, cui la Zuccarello infilerà un mini-abito bianco, mentre su un attaccapanni a vista si scorgono le compagne mute con gli scialli neri che avvolgono i loro volti. Più che un felice viaggio sembra una deportazione di donne tra gli anni '30 e '40 su una nave della speranza, quasi come avviene ai giorni nostri a quegli immigrati africani alla ricerca d'una Terraferma di Crialese che fanno lacerare le nostre coscienze e il nostro senso democratico. Conosciamo Gina, l'orfanella cresciuta in un convento di suore; Rosa la ragazzina 12enne che avrà le prime mestruazioni durante il viaggio; Maria, la pastorella sordomuta; Jolanda, sfregiata in viso che fugge dal marito malavitoso; Giulia, la viaggiatrice aristocratica vestita di velluto turchese. Tutte donne che non abbracceranno i loro uomini all'arrivo nel porto di New York perché la nave delle spose ricostruita dal Cappelli con ampie vele bianche in un battibaleno colerà a picco e con lei tutte le pupe vanificheranno i loro sogni e vedranno svanire le speranze d'una nuova vita nova.
Gigi Giacobbe