di Guillem Clua
traduzione Martina Vannucci
adattamento Pino Tierno
regia, ideazione scenica e video Francesco Randazzo
musiche Massimiliano Pace
costumi Riccardo Cappello
luci Salvo Orlando
con Lucia Sardo e Luigi Tabita
produzione Teatro Stabile di Catania
assistente volontario alla regia Sebastiano Sardo
Teatro Bellini di Napoli Dal 12 al 17 marzo 2019
Cosa accomuna tragedia e commedia? Entrambi rappresentano l'indicibile, ciò che del mondo non si può dire in quanto impossibile esprimerlo a parole. Nulla dell'universo in cui viviamo c'è da capire. Tutto è di fronte ai nostri occhi. E proprio per questo l'unica cosa che possiamo fare è ridere o piangere. Ecco ciò che rende simile – tremendamente simile – il comico al tragico. Definizione dei generi teatrali per eccellenza che ben si adatta al lavoro di Guillem Clua, La rondine (la canzone di Marta).
Ispiratosi ai fatti realmente accaduti a Boston nel 2016 – la strage del Bar Pulse a Orlando, locale frequentato da gay, nel corso della quale morirono quarantanove omosessuali – l'autore della pièce prende a pretesto questo eccidio, come quelli del Bataclán di Parigi, di Nizza e delle Ramblas di Barcellona, per affrontare l'eterno tema delle leggi scritte e non scritte degli dèi. Dramma umano, troppo umano vien da dire, che si può tradurre così: in nome di quale principio è giusto porre fine ad una vita umana? E quando ciò avviene – per ogni oscuro motivo, comprensibile ma mai giustificabile – come si fa a sapere se si è dalla parte della ragione o del torto?
Interrogativi quanto mai decisivi, le cui risposte – comunque – mai potranno essere appaganti. Nelle note del testo si legge che "tutti ci troviamo allo stesso bivio: odio o amore. Il nostro mondo dipenderà dalla direzione che prenderemo". Visione manichea che tende a semplificare qualcosa di ben più intricato. E Clua è a tal punto consapevole di ciò, da non fornire – saggiamente – risposte. Difatti, la vicenda narrata ne La rondine – la madre di una delle vittime del Bar Pulse che conosce per la prima volta il ragazzo del figlio, dovendo così affrontare un passato troppo doloroso da disseppellire e altrettanto scomodo per farvi i conti in modo radicale ma sereno – non vuole offrire alcuna soluzione. Questa pièce non intende sciogliere nessun nodo. Ecco perché essa è ascrivibile tanto al tragico quanto al comico: perché non vuole banalmente razionalizzare qualcosa di così profondo, umano e disumano al contempo, che solo nell'indicibile, nel pianto come nel riso, può trovare il suo fondamento più autentico.
Marta e Matteo, i due protagonisti, non hanno volutamente spessore psicologico: non vi è necessità, in quanto entrambi attraversati da esperienze estreme, al punto che ogni psicologismo sarebbe fatuo e deviante. E tanto Lucia Sardo (Marta) che Luigi Tabita (Marco), nelle loro interpretazioni si son preoccupati di lasciarsi attraversare dai concetti, dalle parole e dai sentimenti loro messi in bocca da Clua. E lo hanno fatto per mezzo d'una recitazione misurata, pacata, distillata negli istanti di pathos intenso, dando all'intero spettacolo quell'equilibrio necessario e richiesto per non scadere nel melenso.
Dopo tutto, sia il riso che il pianto richiedono distanza del soggetto dal fatto accaduto. Distanza che, però, mai deve essere glaciale, ma leggera e tornita come il volo d'una rondine.
Pierluigi Pietricola