da William Shakespeare
Uno spettacolo di Davide Lorenzo Palla e Riccardo Mallus
Con Davide Lorenzo Palla
Regia Riccardo Mallus
Musiche Tiziano Cannas Aghedu
Scenografie Guido Buganza
Luci Salvo Manganaro
Con la partecipazione audio di Grazia Migneco
Aiuto regia Riccardo Tabilio
Un ringraziamento particolare a Monica Pariante
Produzione Centro d'Arte Contemporanea Teatro Carcano
Milano, Teatro Carcano dall'8 all'11 novembre 2018
Fare teatro nei luoghi senza teatro: non esiste utopia più radicale e più carica di possibilità – il mito del pubblico vergine, da conquistare con la baldanza tecnicamente attrezzata dell'attore nudo e crudo: un Ulisse incatenato all'albero maestro della propria vocazione che si fa attraversare dal canto delle Sirene e contagia lo spettatore con l'entusiasmo, lo struggimento, la nostalgia, l'energia compressa, la vitalità che il canto gli fa brulicar-bruciare in ogni cellula. Cosa rimane oggi di quell'utopia? In una situazione di gelo sociale dove l'unica fiammella è quella stenta che sulla punta di un'elisione ha ridotto il sociale alla sola particella "social", ben poco. L'utopia sociale è ora tutta tecnologica, l'umano è distopico, non si rivolge più a un'orizzonte di speranza, non contiene o non cerca più il divino; la società si torce su se stessa, ritma i vecchi vizi dell'avarizia, della malafede, della protervia cui paradossalmente un'ideologia dell' "azzeriamo tutto" dà nuovo impulso. Tuttavia il seme di una ricerca così radicale non è del tutto morto, forse si è solo ritirato dalle strade e dalle piazze, e si é andato a installare nelle case, nelle biblioteche, nei monasteri, nei boschi o chissà, nei bar, magari cambiando natura. E dai bar parte il progetto di "Tournée da bar". L'ambizione è quella di ridurre per un pubblico che frequenta i locali della movida i grandi classici della letteratura teatrale, Shakespeare in testa. Come? Non abbiamo avuto modo di verificare la portata dell'esperimento nei suoi luoghi deputati, ma a giudicare dalla quantità di pubblico presente al Teatro Carcano e dalla qualità del suo coinvolgimento, nonché dalla sua varietà generazionale, non si può negare che l'esperimento sia pienamente riuscito.
Viene da riflettere sullo spostamento di luogo però, che non è soltanto un dato quantitativo, ma cambia di segno all'operazione. Quasi che l'approdo al grande teatro di tradizione sia alla fine un dato naturale – sarà per la presenza di Shakespeare? L'ennesima attualizzazione del classico? La ricerca che inizialmente porta a navigare sui mari sconosciuti di un nuovo pubblico, finisce poi per condurre nel sicuro porto del pubblico del teatro a teatro? Non suona un po' paradossale? Tuttavia lo spettacolo tiene malvagiamente il ritmo di un compressore azionato senza sosta sulle teste del numerosissimo pubblico. E in ciò l'energia di Palla è qualcosa di sorgivo, di inarrestabile. Tanto più che deve reggere il peso di una delle tragedie più lunghe di Shakespeare. E lo fa con l'aiuto di un musicista che srotola tappeti sonori di elettronica con pulsazioni da rave party. Il motivo è presto detto: secondo il prologo a sipario chiuso siamo a Londra nel 3300 dopo Cristo, in un mondo postapocalittico, dove il Globe è un capannone industriale dismesso e di nascosto dalla polizia gruppi di disperati si danno convegno per ascoltare Shakespeare. Al pubblico, cui Palla con giacchetta e pantaloni da artistà di varietà si rivolge, inquadrato da un seguipersona, si chiede di fare la parte di quella platea del futuro, cui lo stesso attore, più volte nel corso dello spettacolo, ricorrerà per provocare risposte di gruppo in antifona su sua stimolazione finto predicatoria.
Fa bene l'attore alla fine ad accennare al percorso di "Tournée da bar", è importante contestualizzare quello che si è appena visto. Ma più che un'operazione culturale pensata per riportare i classici alla gente, ci sembra che il punto sia inquadrare e incarnare ancora una volta l'utopia del teatro fuori dal teatro, per verifcare sul campo quanto questa forma d'arte sia ancora in grado di lavorare al livello cellulare della relazione attore-spettatore, legando l'uno all'altro in un rapporto di mutuo scambio energetico che nessun'altra arte può mettere in moto.
Resta da sperare che quello in teatro non sia un approdo definitivo ma una tappa, necessaria magari per poter fare il punto sull'esperienza e poter assorbire il contraccolpo di una mobilitazione di pubblico probabilmente montata con il passa parola; e che il progetto nomade e corsaro, che ha dato vita a una serie di riscritture shakespeariane, tale continui a rimanere e vada a contagiare ancora più spettatori. Perché questa è di sicuro la grande forza dello spettacolo: fare arrivare Shakespeare a tutti, senza snaturarne la potenza drammatica e lirica. E lo spettacolo è molto efficace anche nell'inglobare il pubblico nel gioco scenico, con il rimando continuo al racconto di questo futuro distopico e dispotico con funzione di cornice metateatrale. Che consente alla fine un efficace e personalissimo coup de theatre. Quando l'attore, dopo più di un 'ora di maratona a ritmo rafficante, ci lascia un'ultima immagine: quella del pubblico del 3300 che, invasato dalla famosa battuta di re Riccardo disarcionato in battaglia "il mio regno per un cavallo", comicia a massacrarsi dando sfogo a tutto l'odio che Riccardo ha essudato fino a quel momento e trasmesso alla platea, più di quanto non siano arrivati alla stessa, invece, la pietà e l'orrore. Dopo che tutti gli spettatori si sono azzuffati e poi fuggiti per l'arrivo della polizia rimane in scena solo l'attore che ha impersonato Riccardo III – così ci racconta e ci mostra Palla – a guardare di sottecchi quella platea futura e la presente, e a siglare con sorriso e sguardo sardonico la battuta di chiusura: che Riccardo III non smetterà di agire sul pubblico e a vivere fin quando l'umanità continuerà, in fondo, ad assomigliargli.
Franco Acquaviva