adattamento dal testo di Carlo Goldoni
a cura di Lina Wertmuller
in collaborazione con Tiziana Masucci
con Giovanni Costantino, Paolo De Vita, Francesco Feletti, Massimo Grigò e Angela Rafanelli e con Gianni Cannavacciuolo
scene e costumi: Enrico Job, musiche originali: Italo Greco, Lucio Gregoretti e Gabriele Miracle
regia: Lina Wertmuller
Pistoia, San Marcello, 18 e 19 agosto 2007 (prima assoluta)
Il «teatro» del gioco d' amore della bella Rosaura, che per cercare marito mette alla prova i suoi pretendenti, è un gigantesco letto, un' iperbole di soffice, serico, avvolgente talamo ideato da Enrico Job per «La vedova scaltra» di Carlo Goldoni con la regia di Lina Wertmuller, in uno spettacolo che è una sorta di «scherzo» popolato da personaggi che sono stereotipi di una Venezia di maniera. La regista, anche con tagli al testo, dà ritmo a un gioco artificioso al cui centro c' è la Rosaura di Raffaella Azim che spunta e viene inghiottita dal suo letto-palcoscenico, regina nello scacchiere del gioco amoroso tra i quattro pretendenti, il geloso conte italiano, il pragmatico inglese, il narciso francese, lo spagnolo scintillante funebre boria. Tra loro un Arlecchino, ben interpretato da Gianni Cannavacciuolo, sempre servitore di troppi padroni. Per scegliere il marito la bella vedova si inventa una beffa e alla fine opterà per il conte italiano un pò cupo e travagliato, ma innamorato. Tutto lo spettacolo è avvolto in una certa qual leziosaggine, dai bei costumi sempre di Job, alla recitazione smancerosa e vecchio stile dei quattro pretendenti, cui non riesce a sfuggire neanche la protagonista. Tutto scorre, ben confezionato e piacevole sulla superficie di un testo che tuttavia qualche segreto lo nasconde. Teatro Carcano, fino al 7 dicembre
Magda Poli
Ella è la seconda Commedia di carattere che io ho composto, sendo "La donna di garbo", e tutte e due sentono ancora non poco del cattivo Teatro, con cui confinavano, ed hanno quel sorprendente e maraviglioso, che ho poi col tempo a verità e natura condotto"
Carlo Goldoni fa così il ritratto alla Vedova scaltra (1748), secondo passo verso il "teatro nuovo" cui sarebbe approdato con i lavori successivi. Un teatro, cioè, di corrispondenza fra realtà e palcoscenico, ma animato dallo sguardo critico di chi segue consapevolmente il tramonto della nobiltà egemone e l'ascesa della classe operosa. Ancorato, nei nomi e nei modi, alla tradizione dell'Arte, la Vedova racconta di Rosaura, giovane e sola nel letto coniugale dopo la morte del vecchissimo consorte. Attorno a lei, savia e appetibile, si affolla un gruppetto di pretendenti, cavalieri di buona schiatta e differente borsa: l'inglese Runebif, prodigo ma solo libertino; il francese Le Blau, narciso e farfallone; lo spagnolo don Álvaro, forte della propria aristocrazia; l'italiano conte di Bosco Nero, focoso, geloso, innamorato.
Questa materia da "domare" e rimpolpare è finita nelle esperte mani di Lina Wertmüller, che firma la regia dello spettacolo in scena all'Eliseo per l'interpretazione, nel ruolo di Rosaura, di Raffaella Azim. Bella e opportuna l'ambientazione scenografica di Enrico Job: un lettone ridondante di lenzuola, cuscini e trine su cui la Vedova vaga in cerca della mai goduta voluttà. Fino alla scelta conclusiva, che, sostenuta da una prova (sul campo) di resistenza alle tentazioni, privilegia l'italiano. Grintosa, vivida, quasi rude, a tratti, nel disegnare sulle due facce di una stessa medaglia Rosaura e Marionette, la sua servetta francese, la regia diventa anche effervescente nella seconda parte. Mai moralistica, in ogni caso: e con Goldoni è un gran merito. Gennaro Cannavacciuolo è ottimo Arlecchino; Francesco Feletti un autorevole don Álvaro. Bene anche Massimo Grigò, Roberto Valerio, Giovanni Costantino, Elena D'Anna.
Rita Sala
Poche commedie goldoniane come La vedova scaltra risentono di una pericolosa contiguità con La locandiera. Nonostante la vicenda di Rosaura preceda di ben cinque anni le avventure di Mirandolina, i teatranti hanno sempre considerato lo squisito trattatello della dama veneziana costretta a scegliere l'uomo del suo cuore tra quattro spasimanti, alla stregua di un semplice abbozzo dell'ineffabile fiorentina. Preferendo la scaltrezza plebea di quest'ultima alle calcolate svenevolezze di Rosaura che, a spasso per le calli della Serenissima, si comporta come un'aristocratica di Versailles. Tanto è vero che di celebri allestimenti della Vedova non c'è quasi traccia nel teatro europeo.
Benvenuta quindi la scelta di Lina Wertmüller che, nella sapiente impaginazione di Enrico Job, presenta questo gioiello indiscreto cresciuto sul Canal Grande come un raffinato apologo sulle angosce dell'amore. Per tramutare la favola del Cogitore in un aforisma che sa di Marivaux, la Wertmüller ha chiesto al marito scenografo di costruire un gran letto monumentale smaccatamente finto nelle dimensioni che, candido com'è, somiglia a un'abnorme meringa: una Venezia xilografica in bianco e nero dove, all'inizio, si danno querela i partigiani della commedia antica e i fanatici della commedia nuova.
Tutto bene quindi? Sì e no, perché concentrandosi sul gioco amoroso la regista perde per strada il contesto e le immagini del coro maschile, quei grandi vecchi da Goldoni designati a rappresentare il controllo sull'autonomia femminile. Ne risulta uno spettacolo in punta di penna, ma privo della dolorosa ambiguità che pervade l'universo chiuso di Rosaura. Per fortuna, tra le coltri immacolate, Raffaella Azim seducente come una bambola di Norimberga, si prodiga con infinita grazia tra i quattro sbalestrati pretendenti. Tutti caratterizzati, a eccezione del Cavaliere animato da belluini trasporti nell'impetuosa performance di Giovanni Costantino, come grotteschi prototipi dei Rusteghi. Mentre nel famoso abito a toppe di un diabolico rosso acceso si stampa nella memoria l'insolito magnetismo dell'Arlecchino di Gennaro Cannavacciuolo.
Enrico Groppali
Wertmüller «scherza» con Goldoni
Un gigantesco letto troneggia sulla scena, è il «teatro» del gioco d' amore della bella Rosaura che per cercare marito mette alla prova i suoi pretendenti. È l' iperbole di talamo, soffice, avvolgente ideato da Enrico Job per La Vedova scaltra di Carlo Goldoni con la regia di Lina Wertmüller che ha debuttato alla Biennale di Venezia. Un' idea scenografica che suggerisce una chiave di lettura registica «forte», che tuttavia non trova riscontro in uno spettacolo che è solo una sorta di «scherzo con maschere» popolato di personaggi che sono stereotipi, in una Venezia un po' da cartolina. Opera di transizione tra la commedia dell' Arte e la commedia «nova», La vedova scaltra, scritta nel 1748, ha in sé una stilizzazione che tende ormai al realismo: le maschere sono ancora presenti ma i caratteri sono psicologicamente più realistici. Lina Wertmüller preferisce rimanere in superficie e, intervenendo con decisi tagli sul testo, dare ritmo ad un gioco lezioso al cui centro c' è la Rosaura di Raffaella Azim che in una vaporosa camicia da notte sul suo letto-palcoscenico è la regina sullo scacchiere del gioco amoroso tra i quattro pretendenti di diversa nazionalità, il geloso conte italiano, il pragmatico inglese, il narciso francese e lo spagnolo scintillante di funebre boria. Tra loro un Arlecchino sempre servitore di troppi padroni. Per scegliere il marito la bella vedova si inventerà una beffa e in una sola sera risolverà il problema e, verificata la credibilità dei pretendenti, opterà per il conte italiano, geloso, un po' cupo e travagliato, ma sinceramente innamorato. Tutto lo spettacolo è segnato da una certa qual affettazione, dai bei costumi sempre di Job, alla recitazione di maniera dei quattro pretendenti, a cui non riesce a sfuggire neanche la protagonista. In questo disegno registico inutile cercare nella Rosaura di Raffaella Azim, in quel suo voler scegliere il marito guidata dalla ragione, un vago desiderio di emancipazione, di volontà d' essere padrona della propria vita e non sottomessa alle convenzioni di una società patriarcale, insomma cercare i tratti anticipatori della Mirandolina de La locandiera. Tutto scorre, ben confezionato e piacevole sulla superficie di un testo che tuttavia qualche segreto lo nasconde.
Magda Poli