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TOSCA - regia Luca Ronconi

Tosca Tosca Regia Luca Ronconi

di Giacomo Puccini
Maestro concertatore e direttore: Lorin Maazel
Regia: Luca Ronconi
Scene: Margherita Palli
Interpreti principali: Daniela Dessì, Walter Fraccaro, Ruggero Raimondi
Milano, Teatro alla Scala, stagione 2007

www.Sipario.it, 30 aprile 2007

Roma papale: questo è soprattutto il contenuto in Tosca di Puccini-Illica-Giacosa, ancor più che in La Tosca di Victorien Sardou. Di là dalla vicenda privata dei protagonisti, questo dato non andrebbe mai scalfito. Oggi si tende a far caso prima di tutto alla messa in scena, con il cosiddetto “teatro di regìa”; questo ha falsato il carattere perfino nella fin troppo osannata e, a modo suo, teatralmente riuscita regìa di Miller con la Roma occupata del 1944.

Questo ritorno di Tosca alla Scala, invece, recupera il carattere storico-ambientale grazie alla lettura musicale di Lorin Maazel.

Dalle prime battute il “tema di Scarpia” allargato e incombente appare quasi pomposo, ma ben presto diviene temibile ancor più che se fosse violento; su tutta l'opera è parsa scendere un'ombra opprimente (ci è venuto in mente il cappello da prete incombente su Roma all'inizio de La dolce vita) perfino dove il colore è opulento, come nel “Te Deum” che chiude il primo atto.

Maazel, lo sanno tutti, è un formidabile tecnico della concertazione, ma spesso ha sciupato le sue letture con manierismi superficiali. Però è un conoscitore profondissimo delle partiture più raffinate, come è il caso di Puccini ormai riconosciuto tale anche dai suoi detrattori più arretrati. E di queste finezze da rivelare Maazel si entusiasma.

Alla Scala disponeva di una protagonista superiore, Daniela Dessì, finalmente rispettosa di quanto Puccini ha scritto in note da cantare, dove invece gli effettacci di tradizione avevano sfigurato quest'opera. Anche in lei, però, come nel pur valido tenore Walter Fraccaro scarseggia il “canto di conversazione”, tipico nella scrittura pucciniana, a vantaggio di esibizioni vocalmente più spiegate. Anche Ruggero Raimondi, sempre versatile e variegato dominatore della scena, è attento a non alterare la linea musicale, che ha un preciso senso espressivo; è strano che ometta il trucco, scarpianamente e puccinianamente diabolico (scritto), della nota prolungata a fingere di cercare il nome del conte Palmieri.

Ronconi regista esibisce troppi approcci fisici di Scarpia a Floria; peraltro oggi è uno dei pochi a realizzare la cerimonia funebre inventata da Tosca con i tre oggetti (due candelieri e croce) che sono scritti nella musica. Ci siamo abituati alle scene di Margherita Palli sghembe e terremotate nella prospettiva, forse memori di Prampolini 1943 per il Mandarino di Bartók.

Una lettura come questa conferma quanto Puccini fosse avanzato rispetto al suo tempo, eppure il pubblico, purtroppo, rimane ancorato al “pezzo”: vedi “Vissi d'arte”, acclamatissimo; ma anche la nobile Dessì che lo ha ben cantato lo termina allargando e gonfiando, quasi temesse di non “chiudere”.

Alfredo Mandelli

Ultima modifica il Mercoledì, 17 Luglio 2013 08:01
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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