Locandine (28)
OBLIVION SHOW 2.0 Non semplicemente la versione “aggiornata” del precedente fortunatissimo show, ma una vera e propria evoluzione dello stile Oblivion, che riesce a mescolare Lady Gaga con Johann Sebastian Bach e Tiziano Ferro con William Shakespeare. Con la consueta eleganza e irriverenza, i cinque madrigalisti post moderni raccontano storie epiche o semplici avvenimenti quotidiani giocando continuamente con la musica. Il più delle volte massacrano canzoni e testi famosi per ricomporli in modi surreali, altre volte si cimentano con virtuosistici esercizi di stile e canzoni originali. Come in ogni sussidiario che si rispetti, in questo nuovo spettacolo troviamo tutte le materie: dal solfeggio alla storia, fino alla grande letteratura italiana dove Dante e Pinocchio cantano le loro avventure in soli sei minuti. |
OPERETTE MORALI Nelle Operette morali troviamo l’anima più profonda di Giacomo Leopardi: il rapporto dell’uomo con la storia, con i suoi simili e in particolare con la Natura; il raffronto tra i valori del passato e la situazione statica e decaduta del presente; la potenza delle illusioni e della gloria. Le Operette rappresentano una perfetta orchestrazione di toni sulla vita e sulla morte: nella visione leopardiana, l’uomo si muove all’interno di una natura cieca, dalla quale non può ottenere nulla. «L’idea di Mario Martone - scrive Ippolita di Majo, drammaturg dello spettacolo - di mettere in scena le Operette morali di Giacomo Leopardi, un testo fuori dal canone della letteratura teatrale, nasce dal serrato confronto con la cultura e con la storia d’Italia del XIX secolo che lo ha impegnato negli ultimi anni di lavoro in campo cinematografico. A monte sta l’urgenza, artistica e civile, di riandare alle origini della scrittura teatrale nazionale per interrogarsi sui suoi potenziali e i suoi limiti: da Alfieri a Manzoni, appunto a Leopardi. Il progetto è quello di affrontare il testo nel suo insieme, operando dei tagli all’interno, ma preservandone la struttura complessiva». |
IL SACRO DELLA PRIMAVERA Una meravigliosa metafora del nostro tempo. Una meravigliosa metafora di questa generazione che attende obbligata allo stallo, osservata, spiata, pesata, vergine perché impossibilitata a fare da sola. Lasciamo definitivamente i padri come si lascia l’inverno, e smettiamo di essere figli. Che il rito propiziatorio avvenga con il nostro sudore che ha nutrito la pazienza, ora vogliamo bonificare la terra sulla quale camminiamo e costruiamo. È il nostro tempo e ce lo riprendiamo, gli antenati saranno d’accordo con noi senza bisogno di tanti discorsi, non c’è più tempo per le spiegazioni. Questa non è una generazione di passaggio, nessuna generazione è di passaggio. |
NATALE IN CASA CUPIELLO E' con gioia, paura, emozionata curiosità ed una buona dose di follia, che mi avventuro alla scoperta del teatro di Eduardo De Filippo. È da molto tempo che coltivo il desiderio di accostarmi a questo grande attore-autore-regista e al suo patrimonio drammaturgico e Natale in casa Cupiello, in questa versione solitaria, mi è sembrato un modo possibile, una chiave d’accesso per incontrare la sua arte e il suo linguaggio. È difficile definire Natale in casa Cupiello, perché è un testo semplice e complesso allo stesso tempo. Semplice perché popolare, familiare e complesso perché umano, realistico sì, ma soprattutto metaforico. Quando leggo Natale in casa Cupiello, ho la sensazione di trovarmi davanti ad un meraviglioso spartito musicale, un vibrante veicolo di comunicazione, profondità e poesia. |
JOURNAL D'UN CORPS Lettura-teatrale di e con Daniel Pennac dal suo romanzo Journal d’un corps, edito da Gallimard e pubblicato da Feltrinelli in Italia con il titolo Storia di un corpo: dai dodici agli ottantasette anni, un uomo tiene il diario del suo corpo. O, più esattamente, il diario delle sorprese che il suo corpo, nell’arco di una vita intera, fa alla sua mente. È a prima vista il più intimo dei diari intimi, ma non appena ci addentriamo, scopriamo che questo giardino così segreto è il più comune dei nostri territori. La lettura ad alta voce sgorga allora naturale, come passaggio dal singolare al plurale, dal corpo unico del lettore al corpo comune del pubblico. |
RIII - RICCARDO TERZO La decisione di affrontare, per la prima volta anche da regista, un capolavoro di William Shakespeare non è disgiunta dal felice incontro artistico con Vitaliano Trevisan. Ho sempre avuto nei riguardi del Bardo, forse per l’incombenza di gigantesche ombre familiari, un certo distacco, un approccio timoroso; le messe in scena dei suoi capolavori, lo confesso, non sono mai riuscite a coinvolgermi del tutto, forse per la difficile sintonia con un linguaggio così complesso e articolato ma anche, in molte traduzioni, oscuro e arcaico. La lettura di un adattamento di un testo “minore” di Goldoni curato da Trevisan, sorprendentemente moderno e originale ma al tempo stesso accurato e rispettoso dell’autore, ha fatto scattare in me l’idea che quel tipo di approccio potesse essere non solo possibile ma altrettanto efficace nei riguardi dell’opera di Shakespeare che da anni sognavo di rappresentare: Riccardo III. Il “nostro” Riccardo, col suo violento furore, la sua feroce brama di potere, la sua follia omicida, la sua “diversità”, dovrà colpire al cuore, emozionare e coinvolgere il pubblico di oggi (mi auguro in gran parte formato da giovani), trasportandolo in un viaggio, affascinante e tragico, attraverso le pieghe oscure dell’inconscio e nelle “deformità” congenite dell’animo umano. |
CALORE Calore, titolo del primo lavoro coreografico di Enzo Cosimi, debutta a Roma nel settembre del 1982 con il suo ensemble Gruppo Occhèsc. Il pezzo, impostato su un’energia vigorosa e ritmi serratissimi, era nato per interpreti non-danzatori, pur riconoscendosi in pieno in una scrittura di danza. Nel primo breve scritto sullo spettacolo Cosimi scriveva: la realtà è devastata da gelide atmosfere, pensiamo di voler “annusare” una nuova aria, un nuovo vento in cui l’energia nel suo ritornare al nulla senza illusione, abbia come qualità un senso di profonda serenità, di caldo, di calma relativa. Lo spettacolo è un viaggio visionario dove all’interprete è richiesto un processo di regressione che serve come traccia per disegnare un’età dell’infanzia e dell’adolescenza infinita. Giuseppe Bartolucci, teorico del nuovo teatro mai dimenticato, scriveva sullo spettacolo: qui la ginnastica e la danza si fanno avanti e vengono corrose, il sudore è accettato come passaggio, la fisicità è fatta pervadere di accensioni a catena e senza fine, la risorsa del riposo e dell’intervallo non viene accettata di principio. Quindi ben venga un progetto illuminante di recupero del repertorio della coreografia contemporanea italiana, auspicando che le nuove generazioni di autori e di spettatori possano dare un nuovo sguardo alla nostra memoria storica coreografica. |
IL NIPOTE DI RAMEAU Il nipote di Rameau di Denis Diderot, capolavoro satirico della seconda metà del Settecento, è la parabola grottesca di un musico fallito, cortigiano convinto, amorale per vocazione avvolto in un lucido cupio dissolvi. |
DISPLAY Questo progetto fa parte di un percorso di ricerca sulle possibilità di interazione tra immagine video e movimento. Display racconta l’inadeguatezza e l’isolamento dell’uomo contemporaneo, che da dietro una finestra, osserva e descrive il mondo. La finestra è lo schermo/monitor su cui ci affacciamo quotidianamente, il limite che distorce e deforma la visione. Attraverso il collage e l’accostamento di immagini video, il personaggio in scena racconta il bisogno di qualunque essere vivente di tenere stretto qualcosa nelle mani mentre tutto gli sfugge; una cosa in cui placare l’angoscia dell’isolamento, che gli possa aprire uno spiraglio e che gli consenta di riconoscere e riconoscersi nei segni. Dal dentro al fuori, da una cornice che chiude un’immagine a un’immagine che dischiude. |
JOSEPH In Joseph in scena c’è un uomo, solo, di spalle al pubblico per l’intera durata della sua performance, mentre cerca la sua immagine in tutto ciò che il suo sguardo tocca. L’autore della performance prende in prestito il nome da colui che assume su di sé la paternità dell’uomo che nasconde il divino, ma non ci è dato sapere chi sia Joseph, né dove sia. Non sappiamo se si tratti dell’uomo che vediamo in scena oppure di uno di quegli occhi sconosciuti capitati per caso all’interno del sistema rappresentativo. Il solo perde la sua connotazione di evento performato da un esecutore unico e si riempie di sguardi meravigliati, deformati, raddoppiati e amplificati. Di corpi esposti e pronti all’esposizione, là fuori, chissà dove, dall’altra parte del mondo, ma nel medesimo istante. Fiat lux: come per il cilindro del prestigiatore, al quale si conferisca l’autorità di generare conigli bianchi. |